I beni culturali in Sicilia: una maestosa ricchezza travolta dall’incapacità gestionale

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Patrimonio Unesco Sicilia
20 nov 2015 – 09:55

CATANIA – «L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto». È questo che lo scrittore Goethe pensava della terra di Trinacria, la terra dai molteplici volti, intrisa di storia, di mito, terra di passaggio e in quanto tale crocevia di popoli che nei secoli hanno lasciato tracce delle proprie civiltà, del proprio vissuto di cui tutta l’isola serba testimonianza.

La Sicilia ad oggi conta sette siti materiali di cui cinque culturali (le città tardo barocche del Val di Noto, Siracusa e le Necropoli rupestri di Pantalica, l’area archeologica di Agrigento, la villa Romana del casale di Piazza Armerina e Palermo arabo-normanna riconosciuta nel luglio 2015) e due naturalistici (il monte Etna e le isole Eolie), mentre due sono i siti iscritti al patrimonio culturale immateriale (la vite ad alberello di Pantelleria e l’opera dei pupi). A questi si aggiunge, in parte, la dieta mediterranea di cui la Sicilia è largamente rappresentativa.

Ma nonostante l’isola sia la terra più patrimonializzata nell’ambito Unesco, essa rappresenta l’emblema di un Sud totalmente dimenticato.

Abbiamo raggiunto il direttore della Fondazione Patrimonio Unesco Sicilia Aurelio Angelini per capire meglio il perché una ricchezza patrimoniale così stimata e invidiata da tutto il mondo sia, a conti fatti, talmente poco valorizzata e curata da indurre molti turisti a rinunciare al meraviglioso “viaggio in Sicilia”.

Tra i molteplici problemi emersi vi è l’incapacità degli organi competenti nell’amministrare i fondi da destinare ai beni culturali, una parte dei quali vanno smarrendosi tra i mille rivoli della società siciliana, mentre altri tornano al mittente europeo come se davvero la Sicilia non ne avesse bisogno.

Potrebbero inoltre essere molti gli introiti derivanti da attività commerciali come bookshops, ristoranti, negozi e altre attività collaterali allo sviluppo del patrimonio culturale siciliano, ma in Sicilia l’imprenditoria, secondo quanto affermato dal professore, appare strozzata e impossibilitata al decollo.

E cosa dire delle infrastrutture? I turisti, in giro per la Sicilia, parlano di vera e propria “corsa ad ostacoli” per visitare l’isola, lamentando il fatto che “se vuoi vedere la Sicilia devi rimanere una settimana in ogni città”. Eppure ancora c’è chi continua a inneggiare, come fa ben notare Angelini, il famigerato ponte sullo stretto come se questa fosse la soluzione a ogni problema.

E purtroppo la lunga storia dei gap siciliani con le altre regioni non finisce qui. Perché il mondo contemporaneo con le sue nuove tecnologie prevede la possibilità di viaggi virtuali in rete attraverso i quali poter attrarre visitatori, ma anche in questo caso la Sicilia appare un universo a sé, completamente scollato dal resto del mondo.

Cosa andrebbe fatto dunque per valorizzare il territorio e i suoi preziosi e innumerevoli beni? Angelini parla di tre “c” fondamentali: conoscenza, competenza e capacità. La vera strategia verso il miglioramento.

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