Le alleanze a Sinistra e la vera posta in gioco | di Tomaso Montanari, Huffington Post del 12.01.2018

ROME, ITALY – JUNE 18: Tomaso Montanari during the assembly to build a popular alliance for Democracy and Equality, a United Left Alternative to the Democratic Party at the Brancaccio Theatre on June 18, 2017 in Rome, Italy. The assembly was called by Anna Falcone and Tomaso Montanari with a view to creating a new movement in Italy, seeking to attract broad support from citizens as well as sympathetic political parties, movements, associations, committees and across all civil society. (Photo by Simona Granati – Corbis/Corbis via Getty Images)


1. Le alleanze a Sinistra e la vera posta in gioco | di Tomaso Montanari Huffington Post, 12.01.2018 Si può fare politica per cambiare il mondo. O si può fare politica per gestire lo stato delle cose. Nel primo caso si parte da un tentativo di leggerlo, il mondo. Di capirlo. E di capire cosa fare, e cosa non fare, per cambiarlo. Nel secondo caso si parte dalla geometria delle alleanze, dalla scelta di un leader mediaticamente efficace, da una strategia sì, ma di marketing. Nel primo caso si ha in mente una strada, e la si percorre con determinazione e coerenza. Nel secondo caso si vive alla giornata, si risponde agli appelli dei giornali, si tratta su tutto. È possibile che la prima via sia velleitaria, astratta, disincarnata. È sicuro che la seconda via finisce per lasciare le cose come sono. La prima via di solito non giova affatto a chi la percorre. La seconda spesso giova soltanto a chi la sceglie e la pratica.
2. Il Brancaccio è stato un tentativo di fare politica nel primo modo. Secondo uno schema chiaro: vedere, giudicare, agire. Lo scorso 18 giugno abbiamo detto cosa pensavamo di venticinque anni di centrosinistra, e non solo degli ultimi tre della sua fase finale, quella renziana. Poi abbiamo provato a spiegare perché quella strada andava lasciata: per sempre, senza esitazioni. Con un esempio brutale: non si ferma la destra votando per Minniti, che fa la politica della destra, e la fa in un governo che difende gli interessi dei pochi contro quello dei molti. Perché se oggi Berlusconi è risorto e la Lega è alle porte, è per quello che ha fatto e per quello che non ha fatto il PD: e dunque allearsi con il PD per fermare la destra è come mettere la testa sul ceppo per fermare il boia. E infine abbiamo cercato di mostrare in che direzione avremmo voluto agire: scrivendo, collettivamente, un progetto di Paese, in cento assemblee. Un progetto una cui prima, parzialissima, bozza è ora a disposizione di tutti. Leggendola, si capisce perché chi si riconosce nel percorso del Brancaccio non potrebbe mai allearsi con il PD: per una ragione disarmantemente semplice, e cioè perché si va in direzioni diverse. Opposte. Se il Brancaccio non è entrato in Liberi e Uguali non è solo perché non avrebbe avuto molto da dire a una somma di partiti già esistenti, sommati in una operazione di marketing elettorale blindata contro ogni dissenso, e con un leader scelto da dentro il Palazzo. Ma anche perché non era affatto chiara la sua direzione: e non era chiara perché non si partiva da una analisi approfondita del reale. Qual è, infatti, la visione di Liberi e Uguali, che può presentarsi lanciando nello stesso giorno la proposta (sacrosanta) di abolire le tasse universitarie e quella di tenersi il contratto a tutele crescenti? Poco importa se questa ultima posizione sarà corretta: il punto è la fragilità, per non dire l’assenza, di una visione chiara e condivisa. Del resto, il giudizio di Mdp e Possibile sul Centrosinistra era profondamente diverso da quello del Brancaccio. E Sinistra Italiana, che invece condivideva quel progetto, ha fatto una scelta pragmatica, le cui ragioni nobili sono state illustrate da Luciana Castellina sul Manifesto. Ora i nodi vengono già al pettine. La possibilità di un’alleanza con il PD in Lazio e in Lombardia è strettamente legata – come scrive lucidamente Stefano Folli – al “futuro del centrosinistra quando si tratterà comunque di sedersi intorno a un tavolo e discutere, specie se il risultato del 4 marzo dovesse imporre una riflessione a tutto l’arcipelago della
3. Sinistra”. Tradotto: se ci si allea oggi con il PD, anche solo in Lazio, questo lascia aperta una porta all’alleanza nazionale per un governo “di responsabilità”. Perché è ovvio che le stesse sirene che oggi chiamano all’unità contro le destre per due regioni, lo faranno a maggior ragione per tutto il Paese dopo il 4 marzo. Capisco tutto, e in primo luogo capisco profondamente il travaglio di Sinistra Italiana, ma credo che alla dirigenza di Liberi e Uguali, alla direzione di Repubblica, a Susanna Camusso e a molti altri sfugga una cosa. Che è questa: chiamare al voto utile col PD contro le destre significa preparare solo un trionfo ancora maggiore delle destre. Continuare ad appoggiare il sistema (questo sistema insalvabile e imperdonabilmente ingiusto) significa dare ragione a chi dice che il sistema si può solo abbattere. Per questo alla grande manifestazione del 16 dicembre dei poveri e dei migranti non c’erano bandiere della Cgil, ma solo dell’Usb. Per questo i sommersi, gli ultimi, i giovani del Sud o non votano, o votano per i 5 Stelle: cioè per chi, di sicuro, non sarà poi alleato del PD, sentito, perfettamente a ragione, come il garante dell’orrendo stato delle cose. Io li capisco, profondamente. È quello il popolo che dovrebbe stare a cuore alla Sinistra. È con quel popolo che dovrebbe stare chi fa politica per cambiare il mondo.

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