Nel nome del popolo italiano


‎Di Maurizio Giobbi‎
C’è una scena epocale in un vecchio film di Dino Risi – una scena che chiude magistralmente la storia, e lo riscatta dal suo essere un’opera minore del grande regista; il titolo è tutto un programma: Nel nome del popolo italiano

È quella in cui Ugo Tognazzi, che interpreta un magistrato che indaga sulla morte di una giovane prostituta, riflette sui suoi pregiudizi etici e politici nei confronti dell’accusato, il costruttore edile Santonocito (Vittorio Gassman): fascista, antidemocratico, speculatore, insensibile verso tutto ciò che è il rispetto delle regole, proteso unicamente verso l’obiettivo di arricchirsi sempre di più a spese del prossimo. La vicenda giudiziaria è l’occasione per un confronto tra due visioni del mondo diametralmente opposte.

Per una circostanza fortuita, il magistrato viene in possesso di una prova che scagiona Santonocito, che ha fatto arrestare con l’accusa di assassinio. E proprio mentre riflette sulla sua arbitrarietà di giudizio, attorno a lui si scatena una ignobile gazzarra a seguito della vittoria della nazionale di calcio contro l’odiata Inghilterra; dall’entusiasmo al caos il passo è breve, e la folla, ammantata del tricolore, si abbandona a gesti vandalici, liberando istinti incivili – con Gassman che impersona vari ruoli paradigmatici simbolo del decadimento morale della società.

Il giudice, disgustato dal comportamento del popolo per conto del quale amministra la giustizia, decide lucidamente di venire meno al suo dovere, e si abbandona all’impulso di distruggere la prova che avrebbe scagionato Santonocito, innocente dell’omicidio, ma correo dello sfascio culturale e civile del Paese.

In questa scena trovo molte similitudini con il sentimento nazionale che in questi giorni riempie la bocca dei politici e le bacheche dei social. Un sentimento che, all’indomani della nascita della Repubblica, fu rifiutato dalla Sinistra che voleva recidere i suoi legami con il ventennio fascista e che da allora è diventato cavallo di battaglia delle destre, creando una rimozione forzata che ha spinto sempre più gli Italiani a trovare rifugio nel municipalismo (e non sfugga che “municipalismo” spesso fa rima con “egoismo”, “particolarismo” – e mai con “collettività” o “solidarietà”).

Ci mostriamo orgogliosi di essere Italiani solo dopo la vittoria ai mondiali di calcio, o in vacanza all’estero, incontrando i nostri connazionali, mentre gli altri giorni dell’anno maltrattiamo il nostro Paese in tutti i modi. Dai piccoli gesti quotidiani che contribuiscono all’inquinamento ambientale, alla diffusione dell’intolleranza, al malcostume delle raccomandazioni. Per non parlare della corruzione eletta a sistema, delle politiche che riducono la spesa per quelle che dovrebbero essere priorità, come l’istruzione, la prevenzione, la sicurezza. Intere zone del Paese da decenni fuori dal controllo dello Stato; omissioni che hanno incentivato una economia parallela del sommerso che rappresenta il vero “risparmio” degli Italiani (non è un caso se l’evasione fiscale è a livelli record: è stata questa la – tacita – politica per lo sviluppo della piccola impresa sin dagli anni ‘50). Pretendiamo senza dare niente in cambio, e ci arrabbiamo se ci viene negato. Ma guai se qualcuno – straniero – osa dirlo. Ci rivoltiamo, offesi nel nostro sentimento di sentirci Italiani.

L’Europa non è una matrigna che distingue tra i suoi figli: l’Europa siamo anche noi, e se è così, è anche colpa nostra. E – tanto per capirci – dai loro uffici ci guardiano con sospetto, è anche perché, secondo la Guardia di Finanza, 6 contributi su 10 sono stati ottenuti dai Fondi dell’Unione europea in maniera illegittima. Truffando le Istituzioni, le stesse che accusiamo di danneggiare la nostra economia e di mettere bocca nelle vicende politiche di casa nostra (in parte è vero, ma la storia va raccontata tutta).

Tanti che non hanno dato niente alla collettività (perché non si riconoscono in essa), sulla scia di una inaccettabile semplificazione dei vincoli politici ed economici che ci legano agli altri Paesi, riscoprono oggi una appartenenza che non è tale, solo strumentale a chiedere qualcosa in cambio di niente. Sono gli stessi che discriminano altri in difficoltà sulla base della superiorità di “essere italiani”, o, in un esercizio di equilibrismo, di “aver pagato le tasse da una vita”.

Va bene: che il popolo sia sovrano, e la sua volontà legge. Votiamo in massa un partito xenofobo, prendiamocela con gli altri delle nostre mancanze, continuiamo a cercare di assolverci dai doveri evasi e pretendiamo solo diritti. Continuiamo a credere alla favola dell’uomo forte che si occuperà di noi, e se le cose vanno male a rinnegarlo. Non siamo una democrazia adolescente, ma un Paese di vecchi mai cresciuti.

Tutto questo, come al magistrato interpretato da Tognazzi, mi fa sinceramente orrore. E voglia di comportarmi proprio come lui.

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