Pensioni e scuola un’unica lezione

Il commento. Da domani tutti avranno diritto secondo le regole nuove che verranno stabilite. Ma nessuno spazio esiste per il passato. La Corte ha fulminato una norma dichiarandola illegittima
Massimo Villone
EDIZIONE DEL 20.05.2015
Sulle pen­sioni, una cosa è chiara. Che di osser­vare la sen­tenza della Corte costi­tu­zio­nale (70/2015) e trarne le con­se­guenze Renzi pro­prio non ha inten­zione. E come fa abi­tual­mente si nasconde die­tro un ingan­ne­vole gioco di spec­chi. Recu­pero, certo: ma non tutti, non tutto, non subito. Intanto, un obolo di 500 euro per 4 milioni di italiani.

Non vogliamo elar­gi­zioni gra­ziose e cari­ta­te­voli. Vogliamo il dovuto.

La Corte ha dichia­rato l’illegittimità costi­tu­zio­nale della norma che bloc­cava l’adeguamento (d.l. 201/2011). Dob­biamo allora ragio­nare distin­ta­mente per il pas­sato e per il futuro. Ful­mi­nata quella norma, i pen­sio­nati – tutti — hanno titolo all’adeguamento secondo le regole pre­e­si­stenti ille­git­ti­ma­mente modi­fi­cate. Da domani, tutti avranno diritto secondo le regole nuove che ver­ranno sta­bi­lite. Che a loro volta dovranno essere con­formi a Costi­tu­zione. Solo su que­sto può eser­ci­tarsi la ricerca di spi­ra­gli nella sen­tenza della Corte.

Men­tre per il futuro sarà pos­si­bile al legi­sla­tore un ambito discre­zio­nale nel defi­nire un ade­gua­mento diver­si­fi­cato per tutti, per alcuni, per fasce o quant’altro, nes­suno spa­zio sus­si­ste per il pas­sato. È dovuto a ognuno l’adeguamento che avrebbe dovuto essere effet­tuato e che invece non è stato cor­ri­spo­sto in base alla norma dichia­rata ille­git­tima. Sta­bi­lire ridut­ti­va­mente il recu­pero in base a norme nuove ora per allora è come rifiu­tarlo, in tutto o in parte. Uno Stato che rifiuta il recu­pero è come il debi­tore che rifiuta di ono­rare il suo debito.

Que­sto ci dicono il buon senso, l’onestà poli­tica, il diritto, i diritti, la Costi­tu­zione. Ma con que­sti valori la fre­quen­ta­zione del governo in carica è sal­tua­ria e occa­sio­nale. Il metodo l’abbiamo già visto in opera. Una comu­ni­ca­zione abile, qual­che men­zo­gna in senso stretto, pro­messe fatte sapendo che non saranno man­te­nute, soprat­tutto un bastone par­la­men­tare usato senza esi­ta­zioni con­tro ogni dis­senso. Ora, con le ele­zioni regio­nali alle porte, qual­che cau­tela in più. Ma alla fine i nodi riman­gono. Il recu­pero o c’è, o non c’è. Il pre­side sce­riffo o c’è o non c’è. I diritti sono rispet­tati o calpestati.

Ascol­tiamo tutti, dice Renzi, ma poi si decide. Quel che conta, come ripete osses­si­va­mente, è andare avanti. Ma dove, e come? Sulle riforme isti­tu­zio­nali la sen­si­bi­lità del paese è stata tor­pida e mar­gi­nale. Ma su pen­sioni e scuola abbiamo un ter­reno di con­fronto di massa. Non stu­pi­sce che i sin­da­cati abbiano alzato la testa, e per­fino la sini­stra Pd abbia smosso il sepol­cro e mostrato segni di vita.

Il punto è che abbiamo davanti una con­ce­zione del gover­nare che punta su un ascolto mera­mente vir­tuale da un lato, e sulla deci­sione nel cir­colo ristretto del pre­mier dall’altro. Non c’è ora, né potrà esserci in futuro, spa­zio per una effet­tiva par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica. Che non è solo avere il diritto di par­lare, ma anche – e soprat­tutto — avere il diritto di inci­dere sulle decisioni.

Si può mai rifor­mare la scuola con­tro il mondo della scuola? Si può non capire che l’indipendenza e l’autonomia di ogni docente sono il car­dine di una scuola con­forme alla Costi­tu­zione? E che non soprav­vi­vono se qual­siasi sog­getto – mono­cra­tico o col­le­giale che sia — può discre­zio­nal­mente disporre del posto di lavoro? È qui che cogliamo il nesso tra il gover­nare e le riforme isti­tu­zio­nali che sono state messe in campo. La ridu­zione degli spazi di rap­pre­sen­tanza poli­tica e di par­te­ci­pa­zione demo­cra­tica, la domi­nanza dell’esecutivo e del pre­mier, la inve­sti­tura mag­gio­ri­ta­ria dro­gata nei numeri par­la­men­tari di un solo par­tito for­ni­scono la stru­men­ta­zione isti­tu­zio­nale neces­sa­ria per poli­ti­che regres­sive. Il par­tito della nazione offre il fon­da­mento politico.

La fase in atto dimo­stra che dall’interazione tra riforme e indi­rizzi di governo viene un esito in ultima ana­lisi con­ser­va­tore o per­sino per taluni versi rea­zio­na­rio, chiun­que sia al potere. Quel che rimane dei corpi inter­medi – sin­da­cati, par­titi, asso­cia­zio­ni­smi di ogni tipo – dovrebbe cogliere il nesso tra i pro­pri obiet­tivi e la lotta con­tro le riforme in atto, dal sistema elet­to­rale alla Costi­tu­zione, dalla scuola alla Rai. Diver­sa­mente, calerà sul paese una cappa di for­zato con­for­mi­smo governativo.

Dov’è l’Italia di Renzi, quella delle magni­fi­che sorti e pro­gres­sive? A quanto pare, gli ita­liani cre­dono a Crozza e non al pre­mier, e pen­sano che non esi­sta. L’Ocse in un Bet­ter Life Index cer­ti­fica l’opinione degli ita­liani sulla pro­pria qua­lità di vita. Tra 36 paesi ci col­lo­chiamo in coda. Die­tro di noi solo Giap­pone, Corea, Polo­nia, Slo­ve­nia, Tur­chia, Esto­nia, Unghe­ria, Por­to­gallo, Gre­cia. Ai primi posti paesi come Dani­marca, Islanda, Sviz­zera, Nor­ve­gia. Fa impres­sione vedere che siamo in basso soprat­tutto per il red­dito, la casa, il lavoro, l’istruzione, l’ambiente, l’impegno civile. Sem­bra di leg­gere la Parte I della Costi­tu­zione, che su que­sti temi è in spe­cie col­pita da poli­ti­che regres­sive e con­ser­va­trici per­ché richiede risorse e poli­ti­che attive per la pro­pria rea­liz­za­zione. La clas­si­fica Ocse ci dice che il rispetto pieno della Costi­tu­zione farebbe bene ai gover­nanti oltre che ai governati.

L’architettura isti­tu­zio­nale è deci­siva non solo per l’organizzazione dei poteri, ma anche per la tutela dei diritti che a quei poteri si chiede di rea­liz­zare. Il punto è che i costi­tuenti del 1948 ave­vano un pro­getto e guar­da­vano lon­tano. Men­tre l’Ocse non segue le com­par­sate tele­vi­sive e i twit­ter di Renzi. Evi­den­te­mente, gufi for­mato esportazione.

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