«Per far rinascere la sinistra bisogna riprendersi il popolo schiacciato dalla destra»


La ricetta dello stratega del Labour Jon Lansman. Che dice «Abbiamo molti interlocutori in Europa. Ma in Italia non sappiamo a chi rivolgerci…»
di Rosa Fioravante e Andrea Pisauro
24 luglio 2018
Mentre in Italia la sinistra ai minimi storici – e in tutta l’Europa continentale è in crisi – in Gran Bretagna il Labour di Jeremy Corbyn veleggia nei sondaggi oltre il 40 per cento, quattro punti sopra i conservatori di Theresa May. Il demiurgo di questo successo è considerato Jon Lansman, 61 anni, fondatore di Momentum (il movimento di attivisti che ha riavvicinato milioni di persone al Labour, soprattutto giovani) e stratega della campagna con cui nel 2015 Corbyn ha conquistato il Labour, poi ha rilanciato il partito portandolo ai quasi 13 milioni di voti del 2017. Di famiglia ebrea (da ragazzo ha lavorato in un kibbutz, oggi si professa ateo), Lansman è iscritto al Labour da quando aveva 16 anni: «Lo feci senza una precisa ideologia, per oppormi al governo conservatore», spiega. «C’erano gli scioperi dei minatori, studiavamo con le candele per i tagli all’elettricità».

Lansman, partiamo dall’inizio: com’è nata la candidatura di Corbyn a leader del Labour?
«Ho conosciuto Jeremy durante la campagna per Tony Benn, nel 1981. Benn perse ma ci lasciò in eredità la battaglia per democratizzare il partito e far contare di più la base. Quando sono rimasto vedovo ho lasciato l’attivismo e mi sono dedicato ai figli. Ho ricominciato a occuparmi di politica solo dopo le dimissioni di Blair. Cercavo un nome che convincesse le tante persone che non ci votavano più. Allora nessuno vedeva Jeremy come potenziale leader: è sempre stato un militante e un politico non convenzionale, faceva solo il suo lavoro in Parlamento. Quando abbiamo lanciato la sua candidatura a leader del Labour non pensavamo di vincere ma di rafforzare la sinistra nel partito e riportare le persone dentro. Molti giovani non avevano mai nemmeno sentito una voce di sinistra. Adesso sono loro il maggior punto di forza del Labour: con l’arrivo di Jeremy il Labour è stato invaso da un’ondata di ventenni».

Per questa battaglia lei ha creato anche l’organizzazione Momentum. Che cos’è? E che relazione ha con il Labour?
«Siamo un agente di cambiamento. Momentum è stato fondato dopo l’elezione di Jeremy alla leadership del Labour per difenderlo dai continui attacchi della destra del partito. Abbiamo cominciato mettendo in rete i gruppi locali nati spontaneamente a sostegno della sua candidatura. Lottiamo ad ogni livello per la democratizzazione del partito. Come Momentum scegliamo i collegi e i candidati da sostenere in modo strategico consultandoci sempre con la base e i sindacati perché sono loro che portano i voti. Così ci assicuriamo di avere abbastanza legittimità per guadagnare consenso.».

Il Labour è oggi il partito di sinistra più forte d’Europa. È solo una questione di leadership? E ci sono similitudini fra Corbyn e Sanders?
«Ci sono molte similitudini, ma non è solo una questione di leadership. È questione di idee e di pratiche per diffonderle. Il caso di Sanders comunque è ancora più straordinario del nostro perché negli Stati Uniti dirsi socialista fino a pochi anni fa era un tabù. E loro non hanno un vero partito organizzato».

Se si votasse oggi Corbyn avrebbe buone chance di arrivare a Downing Street. Siete pronti?
«Sì, la prospettiva di un governo capace di trasformare la Gran Bretagna è reale. Ma abbiamo bisogno di acquisire maggiori competenze di governo e vogliamo imparare dalle altre esperienze europee di sinistra, oltre che da quelle dei passati governi laburisti, anche se non tutti sono disposti ad aiutare. Parlo di competenze politiche, nulla di tecnico come avete avuto voi in Italia. Noi comunque non abbiamo l’euro: potremmo avere un attacco alla sterlina ma non ci può accadere quello che è successo in Grecia».

A proposito, che cosa pensa della moneta unica europea?
«L’euro è stata una follia per l’Europa, ha reso difficile reagire agli shock esterni dell’economia senza farne patire le conseguenze alla parte più debole della popolazione. Ma penso sia la Germania che debba essere costretta ad abbandonare l’euro, non l’Italia o la Grecia».
Cosa accadrà quando la Gran Bretagna uscirà dalla Ue?
«Intanto vedremo se uscirà, io preferirei di no. E credo che non vada sopravvalutato il risultato del referendum di due anni fa, in termini di volontà popolare: il 51,9 per cento non è una grande maggioranza e non è detto che sia quella definitiva. Penso anzi che dovremmo produrre una narrazione capace di invertire la decisione. Ad ogni modo, non c’è alternativa alla cooperazione internazionale in Europa: ad esempio l’Ue può offrire protezione dalla guerra commerciale iniziata dai dazi di Trump, che è pericolosa».

La Brexit è un evento che arretra i diritti sociali o c’è spazio per trarne un cambiamento in senso progressista?
«È probabile che la Brexit sia usata per fermare il cambiamento sociale. Sicuramente sarà usata come punizione esemplare per altri Paesi. Abbiamo bisogno di una riforma radicale delle istituzioni europee, non c’è una politica europea per la crescita e la piena occupazione. La Germania è incapace di capire i benefici del keynesismo, è miope. Quello che serve è un’alleanza europea contro l’austerità. Dovrebbero capirlo anche gli altri partiti socialisti»

Come si pone il Labour rispetto ai suoi “colleghi” nel Continente?
«Noi siamo storicamente diversi da molti altri partiti europei, ma la mia opinione è che dobbiamo aver rapporti più stretti con loro. Mélenchon non mi convince del tutto ma ad esempio il governo portoghese è molto incoraggiante. Ci sono anche legami fra noi e Syriza e altri partiti e movimenti europei».

In Italia?
«Non altrettanto. Noi lo vorremmo. Ma con chi e con cosa dovremmo legarci esattamente?».

Già. Perché oggi nel paese della Thatcher c’è il partito socialista più forte e nel paese di Gramsci c’è la sinistra più debole?
«Voi avevate il partito comunista più forte dell’Europa occidentale, me lo ricordo bene. Ed è curioso che tutti in Europa ora parlino di Gramsci mentre da voi si parla solo di Salvini. Comunque, in generale penso che il crollo del Muro abbia danneggiato la sinistra perché questa ha abbandonato le sue prospettive sociali molto più di quanto avrebbe dovuto. È servito tanto tempo per rivalutare gli aspetti positivi del socialismo».

Che cosa pensa di Renzi?
«Come Blair, non ha capito nulla della lezione della crisi del 2007 e del fallimento della sinistra nel costruire un’alternativa».

In Italia hanno vinto M5S e Lega, un voto interpretato da molti come antisistema. C’è una frattura fra sistema e antisistema? E come pensa che il Labour la interpreti?
«Sì, credo esista questa frattura e si stia verificando in diversi posti. Sanders e Trump attingono allo stesso bacino di voti in molte aree. In Francia intere zone ex rosse oggi votano Le Pen. Lo stesso da voi, in Italia: dove vinceva il Pci ora vince la Lega. Noi abbiamo l’Ukip: ma con le nostre iniziative sociali siamo riusciti a riassorbire molti dei loro elettori. Senza Corbyn, sarebbero rimasti a destra. E credo che questo sia il compito della sinistra, portare a sinistra l’elettorato antisistema».

Salvini intanto ha dato il via a una campagna contro gli immigrati e questa retorica sta dominando il dibattito pubblico italiano. Qualcosa di simile avviene in altri paesi europei. Come deve reagire la sinistra?
«Sì, c’è un rafforzamento dell’estrema destra e una crescente normalizzazione di opinioni razziste e fasciste in tutta Europa. Ma è una situazione causata direttamente dall’abbandono delle comunità devastate dall’agenda neoliberista globale. Di fronte a questa ondata, la sinistra deve farsi forte di una piattaforma di radicale riforma dell’economia e di ridistribuzione del potere e della ricchezza, come unica risposta per sanare queste divisioni. Nel Regno Unito, Jeremy Corbyn ha mostrato la potenza di ciò che può essere raggiunto quando si fa proprio questo; ha dimostrato che se si va avanti insieme su una piattaforma socialista e internazionalista si possono sfidare i ricchi e le destre nazional-fasciste. E si può vincere». n
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