Beni confiscati, la denuncia di TeleJato: imprese sane ‘spremute’ e distrutte

Giulio Ambrosetti
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[13 Sep 2015 |
La sezione di Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha gestito beni per circa 40 miliardi di Euro. Nel ‘tritacarne’ anche imprenditori che avrebbero dovuto essere lasciati in pace perché ritenuti estranei alla mafia. Invece le loro imprese sono finite lo stesso nelle ‘fauci’ degli amministratori giudiziari, “parassiti, pagati con i proventi della stessa azienda”. Storie incredibili denunciate in un dossier, due anni fa, da TeleJato, la tv di Pino Maniaci. Quanti posti di lavoro sono andati perduti?

Il ‘caso’ del giudice Silvana Saguto, ormai ex presidente della sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, viene commentato da Salvo Vitale, collaboratore di TeleJato, la tv diretta da Pino Maniaci che due anni fa, in tempi non sospetti, aveva espresso molte riserve sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. In un approfondimento, dal titolo: “Il triangolo no… non l’avevo considerato” (frase tratta da una celebre canzone di Renato Zero), si leggono alcune considerazioni che vale la pena di scorrere. Anche per farsi un’idea di quello che succedeva in un settore nevralgico della vita pubblica siciliana.
“Qualcuno – dice Salvo Vitale – potrebbe pensare che abbiamo fatto salti in aria di gioia quando abbiamo
silvana saguto
L’ex presidente della sezione di Misure e prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto
saputo che la signora Saguto, presidente dell’ufficio Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, è sotto indagine, da parte della Procura di Caltanissetta, per concussione, induzione alla concussione e abuso d’ufficio. E invece no. Ogni volta che un rappresentante della Giustizia, e pertanto che amministra la giustizia in nome dello Stato, finisce sotto indagine da parte dei suoi stessi colleghi, non possiamo che preoccuparci ed esprimere il nostro disagio su come si amministra la Giustizia in Italia. E’ qualcosa che colpisce tutti e di cui non si può gioire, ma rattristarsi. E questa indagine dimostra proprio le due facce della Giustizia italiana: quella di una Procura, quella di Caltanissetta, competente per le indagini che riguardano l’operato dei magistrati di Palermo, che, in questo caso, scavalcando tutti i nostri dubbi e sospetti di reciproche protezioni tra magistrati che hanno lavorato fianco a fianco, ha ‘osato’ posare l’occhio sull’operato di un settore della Procura di Palermo; e quella di un magistrato di questa Procura che invece ha operato in assoluta libertà nell’uso di uno smisurato potere datole dalla normativa che regola le misure di prevenzione”.
“Già Caselli (Giancarlo Caselli, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo negli anni ’90 del secolo passato ndr) – prosegue Vitale – aveva definito la Saguto una delle donne più potenti di Palermo e la sua potenza le deriva nell’avere costruito un patrimonio che supera i 40 miliardi di euro (parliamo solo della provincia di Palermo e di quella di Trapani, spesso ad essa connessa). In pratica, buona parte del capitalismo siciliano è finita sotto sequestro, sotto il controllo dell’ufficio di prevenzione, con accuse spesso fondate su deduzioni, sospetti, dichiarazioni spesso pilotate di pentiti, scavalcando in parecchi casi anche la collaborazione offerta dagli stessi imprenditori che hanno fatto una scelta di legalità e si sono invece visti sequestrare tutto, senza alcuna possibilità di potere ricominciare un qualsiasi lavoro”.
A questo punto arriva un’accusa pesante: “Si potrebbe pensare che alla fine la Giustizia arriva – osserva ancora Vitale – come ogni tanto succede, ma moltissimi casi di sequestro sono stati ritenuti infondati da sentenze e dalla normale procedura penale e, nonostante ciò, l’ufficio Misure di prevenzione ha invece continuato ad emettere decreti di confisca nei confronti degli imprenditori assolti”.
“Abbiamo denunciato la gestione e i metodi disinvolti, per usare un eufemismo, della ‘signora’ di Palermo da quasi due anni – afferma ancora il giornalista di TeleJato -. Abbiamo ricostruito pezzi del suo ‘cerchio magico’ fatto da magistrati e avvocati che abbiamo chiamato ‘quotini’, cioè in quota al re degli amministratori giudiziari palermitani, Cappellano Seminara (avvocato Gaetano Calleppano Seminara ndr), il quale oggi si ritrova anche lui indagato assieme al marito della Saguto, l’ing. Caramma, suo collaboratore. Si tratta di nomi ormai noti, Dara, Turchio, Benanti, Santangelo, Miserendino, Virga, Ribolla, Modica de Moach, di avvocati che dovrebbero tutelare gli interessi dei clienti e che invece cercano accordi e intese con i magistrati per dare il contentino al cliente, ma anche per non mettersi contro le decisioni dell’apparato giudiziario nel quale essi convivono. E così l’imprenditoria siciliana non ha scelta: o schierarsi con l’apparente scelta di legalità della Confindustria ed entrare ‘in quota’, o correre giornalmente il rischio di finire sotto sequestro per una parentela, una presenza, una commissione fatta nel corso degli anni con qualche mafioso, cosa che in Sicilia capita spesso”.
pino maniaci
Pino Maniaci, direttore di TeleJato
“Nel caso del triangolo Saguto-Caramma-Seminara – dice sempre Vitale – abbiamo da tempo denunciato gli intrecci tra il figlio della Saguto, Elio Crazy, che lavora presso l’hotel Brunaccini, nell’albergo di Cappellano Seminara, di cui è consulente suo padre, l’ing. Caramma. Con abile mossa l’avvocato Cappellano è riuscito a mettere le mani su una parte del settore alberghiero palermitano, quello del Gruppo Ponte, con la scusa della presenza del mafioso Sbeglia, tra i presunti lavoratori dell’albergo. Adesso la situazione dell’albergo è pietosa, ci sono state denunce di clienti che si sono trovati in stanze con le vasche da bagno sporche e con fuoriuscita di acqua verdastra dai rubinetti, ma il solito Cappellano ha invitato il cliente a soprassedere. La longa manus di Cappellano, sempre con la firma della Saguto, si è estesa a novanta incarichi ad esso assegnati, di cui siamo in grado di fornire l’elenco, e dove si incontrano enormi patrimoni interamente assorbiti dal nulla o rivenduti ad amici o finiti in partite di giro dove ci sono strani passaggi di mezzi, beni, merci e quant’altro da un’azienda a un’altra, il tutto svenduto per quattro soldi”.
Il giornalista di TeleJato cita pure il caso dell’Immobiliare Strasburgo, società del mafioso Enzo Piazza, “per la cui amministrazione, secondo l’ex Prefetto Caruso, Cappellano avrebbe incassato 7 milioni di euro e altri 100 mila euro come compenso del suo ruolo di componente del consiglio di amministrazione”.
La lista di storie incredibili continua: “Altra pagina che lascia sgomenti e per la quale Cappellano è indagato – prosegue Vitale – è quella della discarica di Glina, che il nostro insaziabile rappresentante dello Stato avrebbe cercato di controllare interamente, mandando un lustrascarpe a comprarne una quota per 300 mila euro. Si potrebbe andare avanti, ma parliamo di cose che abbiamo denunciato da tempo e che speriamo possano emergere adesso se il giudice Paci di Caltanissetta avrà la possibilità di procedere serenamente, senza interferenze, pressioni, o peggio che mai, minacce”.
A questo punto arriva un’altra accusa pesante: “Non è certo un’indagine su un magistrato potente che risolverà il problema dei beni confiscati e soprattutto sulla anomalia tutta italiana dei poteri dati a un ufficio di prevenzione che, nel 90 per cento dei casi, invece di prevenire, affossa e chiede all’imputato l’onere della prova, compito che invece spetterebbe al magistrato. E questo onere è costantemente rinviato in attesa di una giustizia che non arriva, che distrugge le aziende e le lascia nelle mani di parassiti, pagati con i proventi dell’azienda stessa”.
“Tra i tanti commenti che abbiamo letto su Il fatto quotidiano – dice sempre Vitale – ne riportiamo uno che scrive: ‘Spero che Caltanissetta stia indagando anche sugli altri amministratori, come il giovane avvocato trentenne che l’anno scorso si è visto assegnare, sempre dalla Saguto, la gestione di un patrimonio da 600 milioni (aggiungiamo, quello dei fratelli Rappa), non si sa grazie a quali incredibili capacità. Si può soltanto dire che prima di questa assegnazione lo stesso avvocato gestiva 4 negozi di scarpe, sempre per il Tribunale di Palermo (presumiamo che si riferisca a Bagagli). Si sa che il padre, giudice presso il Tribunale di Palermo, al momento della nomina era membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). In quel periodo imperversava la polemica con il Prefetto Caruso per le parcelle d’oro accordate agli amministratori dalla Saguto. Negli stessi giorni il CSM archiviava il procedimento disciplinare, sempre nei confronti della Saguto. Lo stesso giudice, padre del trentenne amministratore – dice sempre Vitale – non è stato rieletto al CSM e ora fa il giudice di Corte d’Appello a Palermo. In ultimo l’amministratore trentenne ha acquistato da poco una villa a Mondello. La nota è firmata Bastian Contrario. Nulla di nuovo rispetto a quanto abbiamo già detto, ma che giova ripetere”.
“E, a proposito di ville – dice sempre il giornalista di TeleJato – pare che, secondo il nostro commentatore, un’altra villa a Mondello sia stata acquistata da Cappellano Seminara per un milione e duecentomila euro gentilmente anticipati da una banca. Le garanzie per tale anticipazione sono le parcelle già emesse per l’attività di amministratore giudiziario del patrimonio a lui assegnato dalla Saguto, che, ricordo, essere superiore ai 600 milioni (si riferisce, pare, all’Immobiliare Strasburgo) e, visto che non erano sufficienti, ha messo a garanzia anche quelle che emetterà sempre per la sua attività di amministratore giudiziario”.
“Ci fermiamo perché sull’argomento abbiamo già scritto un dossier di oltre cento pagine, che nessuno si è detto disponibile a pubblicare. Ora che è scoppiata la bomba, forse qualcuno si accorgerà che non abbiamo fatto, come ci hanno accusato di fare, il gioco dei mafiosi, ma quello di una giustizia che protegga gli interessi di tutti i cittadini, che sia uguale per tutti, che metta a posto le disfunzioni senza distruggere l’economia e i posti di lavoro, in una drammatica situazione di povertà in cui stiamo vivendo”.
Il dossier, ora, dovrebbe essere entrato a far parte dell’inchiesta in corso. E quindi, in questa fase, non dovrebbe essere reso noto.
Quindi le considerazioni finali: “Un’ultima cosa: la signora Saguto ha detto che vuole essere ascoltata, e ci mancherebbe altro, che chiarirà tutto, e ci auguriamo che lo faccia bene e senza truccare le carte. Già ha detto che l’incarico a suo marito è stato dato quando non era all’ufficio di prevenzione. E dov’era? Adesso il procedimento andrà nelle mani del Presidente del Tribunale, dott. Vitale, il quale deciderà sulle misure da adottare e, con ogni probabilità invierà tutto al CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), quello che ha già archiviato il primo procedimento sulla Saguto. Perché, in un Paese normale, come abbiamo letto in un altro messaggio, questa gente sarebbe già agli arresti per il rischio di inquinamento delle prove e la possibilità di reiterare il reato. In Italia siamo più buoni, diamo una possibilità a tutti e, considerato che abbiamo 7 mila km di costa con infiniti granelli di sabbia, la possibilità che tutto sia ricoperto, mare o sabbia non importa, appartiene al nostro modo di essere italiani”.
Restano un paio di domande: quanti posti di lavoro sono andati perduti in Sicilia? Quante famiglie siciliane, oggi, sono in mezzo alla strada a causa di questa strana gestione dei beni societari? Chi ha combinato tutto questo danno economico e sociale pagherà?

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1 Risposta

  1. ricostruirestatoepartiti ha detto:

    Quando si toglie la speranza di giustizia ad un popolo è a rischio la tenuta democratico del Paese.
    Continuiamo a sperare che la magistratura sana sappia fare pulizia al suo interno senza sconti per nessuno, siamo davanti ad un punto di non ritorno e questo è gravissimo.
    La politica dovrebbe fare la sua parte e cercare di modificare questa legislazione che mette nelle mani di una sola persona un potere enorme che lo esercita senza controllo alcuno.
    Si dovrebbe togliere dalle amni degli amministratori e dei curatori la possibilità di nominare consulenti di propria fiducia. E’ da tempo che dico anch’io che questo sistema non funzione e non può funzionare perchè è all’origine della corruzione. Fino ad adesso hanno lavorato solo le persone di fiducia di questi personaggi e abbiamo visto quello che succede, anche se ancora siamo a niente.
    Non oso pensare quello che potrebbe venire fuori se si andasse a cercare nelle sezioni esecuzioni immobiliari e nelle fallimentari, dove da decenni operano gli stessi avvocati curatori, amministratori giudiziari insieme alle loro fidatissime corti.