Democrazia sospesa

Michele Ainis
Repubblica, 11 aprile

Il referendum è già stato rinviato: avremmo dovuto esprimerci sul taglio dei parlamentari il 29 marzo, se ne riparlerà in autunno. Ma tira un’aria di rinvio su ogni tipo d’elezione, dalle amministrative al rinnovo dei vertici Enasarco, del consiglio d’amministrazione dell’Enpam, del nuovo presidente di Confindustria (lo chiede la Toscana). In questi ultimi casi il blocco riguarda singole categorie professionali: agenti di commercio, medici, industriali. Nel primo caso investe i diritti politici di tutti gli italiani, o almeno una gran parte.

Succede infatti che nel calendario elettorale di questa primavera cada il rinnovo di 7 Regioni: Campania, Puglia, Marche, Toscana, Liguria, Veneto, Valle d’Aosta (che avrebbe dovuto votare il 19 aprile, poi il 10 maggio, adesso non si sa). Dopo di che s’aggiungono le elezioni suppletive per il Senato. E tocca infine a più di mille Comuni, fra i quali 18 capoluoghi di provincia (da Arezzo a Trento, da Mantova a Chieti, da Venezia a Reggio Calabria). In ultimo, c’è il capitolo della Sicilia, dove il governatore Musumeci ha già posticipato al 14 giugno le elezioni comunali programmate per il 24 maggio, e dove un gruppo di consiglieri regionali già reclama un ulteriore slittamento: il rinvio del rinvio.

Certo, dobbiamo proteggerci dall’epidemia. Non chiudono soltanto le urne, bensì pure le fabbriche, le scuole, gli stadi, i ristoranti. Una terribile emergenza sanitaria, che sta allevando un’emergenza economica globale. Su entrambi i fronti s’esercita, ogni giorno, uno stuolo di dottori, ciascuno col suo flacone di medicinali. Ma si disegna all’orizzonte anche un’emergenza democratica, benché quasi nessuno se ne curi. Nel frattempo la democrazia è sospesa, congelata. Il voto è diventato un lusso, anzi un pericolo. Comunque una faccenda secondaria, un omissis che non lascia troppi rimpianti. Anni d’antipolitica ci hanno addestrato prima all’astensionismo elettorale, ora all’indifferenza verso le elezioni in sé, chissenefrega del faccione dei politici candidati a occupare una poltrona.

Tuttavia è sempre un rischio fermare l’orologio delle istituzioni. Perché la durata temporanea delle cariche rappresenta un antidoto contro ogni deriva autoritaria, come a suo tempo ci insegnò l’antica Grecia. Difatti nell’Atene del V secolo la polis rinnovava ogni anno la sua classe dirigente, dai magistrati ai capi militari, fino ai 500 membri della boulé; mentre l’Epistate dei pritani, una sorta di capo dello Stato, durava un solo giorno. D’altra parte l’organo scaduto diventa giocoforza un organo scadente, nel senso che perde la sua forza, la sua legittimazione. Né più né meno d’un farmaco scaduto, che anziché guarirti aggrava i tuoi malanni. Eppure la politica non se ne dà pensiero, come mostra per esempio la vicenda delle authority. I componenti di Agcom e Privacy hanno esaurito il proprio mandato già l’estate scorsa, ma sono stati prorogati per due volte, giacché i partiti non riuscivano a mettersi d’accordo sulle sostituzioni; e adesso, di nuovo, fino a settembre, con la scusa dell’epidemia.

Da qui, allora, una domanda: quanto tempo può protrarsi questo digiuno d’elezioni? Finora il governo ha mantenuto aperte (e ha fatto bene) le attività produttive essenziali. Però è essenziale pure il voto, anzi è la quintessenza della democrazia. Non a caso la Costituzione (articolo 48) lo declina come un diritto, ma altresì come un dovere. Aggiungendo (articolo 60) che la durata delle Camere può venire prorogata soltanto in caso di guerra. Ammesso che quella in corso sia una guerra, nessuna proroga può estendersi in eterno. Mercoledì scorso ce l’ha ricordato il Consiglio d’Europa: serve “un limite temporale chiaramente definito” allo stato d’emergenza. Ma la lezione è ben più antica, risale a Machiavelli. In una Repubblica ben ordinata – lui diceva – non si dovrebbero mai usare poteri straordinari, sia pure a fin di bene; altrimenti s’offre un precedente che in futuro giustificherà l’abuso.

Insomma, in questa situazione il rinvio delle elezioni è comprensibile, ma attenti a non esagerare. Se è possibile regolare l’accesso ai supermercati, si può fare altrettanto rispetto ai seggi elettorali. Magari moltiplicando il loro numero, per evitare resse. Però chiamando gli italiani al voto, sia pure con tutte le cautele. E convocando gli elettori già nella fase 2 dell’emergenza, non nella fase 3 o 33. Se la sospensione della democrazia dura troppo a lungo, rischiamo di farci l’abitudine.

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