Dieci ragioni per i referendum

Furio Colombo

5 giugno 2011

 

C’è un curioso rapporto fra referendum e democrazia. Se in un Paese il referendum è facile, nel senso che è stato pensato come strumento naturale degli elettori, come garanzia, controllo, partecipazione e non come disturbo e sfida ai politici, allora la burocrazia è disponibile, le verifiche sono rapide e precise, i numeri richiesti (le firme, la partecipazione al voto) sono ragionevoli, e nessuno considera oltraggio l’uso frequente del referendum.

Il lettore, a questo punto, si è accorto che non sto descrivendo l’Italia, né ora, né ai tempi di cui a volte, a causa di Berlusconi, si finisce per essere impropriamente nostalgici. Pensavo, ovviamente, agli Stati Uniti e alla Svizzera, dove il referendum è uno strumento in più e non un ingombro buttato lì di tanto in tanto da menti stravaganti, per la democrazia.

Si è spesso detto che il “cattivo nome” dei referendum in Italia, non solo presso i politici ma anche tra i cittadini, è colpa dei Radicali, che ne hanno abusato, perché ne hanno spesso voluti troppi. Qualcuno evidentemente ha dimenticato che l’Italia ha fatto il primo passo verso l’era contemporanea con il referendum sul divorzio e poi sull’aborto. Di qui la lunga battaglia su e intorno ai referendum, condotta in solitario dai Radicali (Pannella, anche adesso, da 45 giorni, è impegnato nel suo “solito” sciopero della fame per la legalità).

Gli ultimi anni, il potere che sembrava perenne di Berlusconi, nuove e baldanzose offensive della Chiesa contro i cittadini e la loro pretesa di pensare e decidere in libertà, hanno riportato interesse sull’istituto del referendum, pur senza raccordi con il nobile passato che ha avuto, nella vita pubblica italiana, questo svilito ed essenziale strumento di democrazia. Ed ecco dunque i quattro referendum (il quarto, quello sull’energia nucleare, appena restituito ai cittadini da una decisione chiara e netta della Corte di Cassazione, altro grande cambio di stagione rispetto al passato) che stanno per avere una grande importanza nella vita italiana, molto più che nei partiti e nella contrapposizione di schieramenti politici.

Come è noto si vota per l’acqua (pubblica o privatizzata?), sul “costo dell’acqua” (profitto o servizio ai cittadini?) sull’energia nucleare (sì o no?), sul legittimo impedimento, che vuol dire il diritto del capo del governo e dei suoi ministri di dire no ai giudici (nel senso di “non ho tempo, ho cose più importanti da fare”). I quesiti sembrano i titoli di quattro racconti per spiegare senso e valori di una comunità democratica. Ma la questione del significato politico di far riuscire o fallire un referendum (tutto dipende dal 50 per cento più uno di coloro che si presentano alle urne) suggerisce di insistere. Ecco dieci ragioni.

1. La prima e prevalente ragione di partecipare dipende dalla famosa questione del quorum. Inutile continuare a lamentare arbitri e inadeguatezze della classe politica se poi si rinuncia all’occasione esemplare di far valere il proprio libero giudizio.

2. La domanda sull’acqua ci porta a un punto alto ed estremo della vita democratica. Si può privatizzare un bene che è il simbolo più alto di ciò che è irreversibilmente di tutti? I percorsi per farlo (privatizzare l’acqua) sono molti e insidiosi. Il più tipico è l’inganno, dire che non si privatizza affatto, ma si rende migliore l’uso del servizio per il bene di tutti. È lo stesso inganno con cui la destra americana ha privato di assistenza sanitaria quasi quaranta milioni di poveri e di anziani, spesso con il voto e il sostegno delle stesse persone che stavano per essere abbandonate.

3. Negli ultimi venti anni tutte le democrazie industriali sono state investite dal vento della privatizzazione e dalla predicazione secondo cui, una volta privatizzato, un settore migliora e gli utenti o consumatori ne beneficiano. Il mito della privatizzazione è l’altra faccia del mito della deregolamentazione, sempre fallita. Basti pensare a ciò che è successo nei trasporti aerei degli Stati Uniti: sempre meno servizi e sempre più costosi per i cittadini, sempre meno lavoro e sempre meno pagato, per il personale di volo.

4. La questione del prezzo “conveniente” dell’acqua non è solo per tecnici. Si tratta di decidere se si vuole un mondo nel quale le cose si fanno solo se convengono (“se sono remunerative per il capitale”) oppure si fanno perché sono dovute. Questa domanda, apparentemente neutrale e legata al buon senso, tocca in realtà un principio fondamentale della democrazia, ovvero i diritti inalienabili. La grande e possente talpa della destra economica cerca punti di penetrazione dove non vi sia adeguata sorveglianza dei cittadini. Dunque attenzione a ciò che state facendo. Vogliono da voi un segnale sbagliato per poi rispondere che con il mercato non si può discutere.

5. Il “legittimo impedimento” garantito a un personaggio importante è un diritto in meno per i cittadini che non sono più uguali. È una crepa che spacca e corrompe il sistema giuridico in due punti essenziali. Rende sterile l’autonomia della magistratura. Crea un super-cittadino dotato di poteri e garanzie che lo fanno speciale.

6. Ma il legittimo impedimento è anche, in sé, una offesa, un muro alzato fra potere e non potere, una discriminazione che sottrae ai cittadini dignità e uguaglianza e li definisce come inferiori. Fermare subito questa offesa è essenziale.

7. La questione dell’energia nucleare, così come è stata presentata in Italia, è un inganno. Meraviglia che persone di valore non abbiano visto l’inganno. I vantaggi che avrebbero potuto esserci con una conversione di due decenni fa non ci sono più perché i sistemi adottabili sono vecchi e in attesa di “nuove generazioni” che non arrivano. I rischi, che sono immensi, ci sono tutti. A cominciare dalle scorie, che sono indistruttibili.

8. Tutte le tecnologie portano rischi. Solo nel nucleare i rischi, quando si realizzano, sono disastro immenso e irrimediabile e creano dunque una categoria a parte nei problemi del bene e del male. Qui il male, quando c’è a causa di incidenti, è per sempre e senza via d’uscita.

9. Un punto indiscutibile, spaventoso e vero del rischio nucleare è il numero grande,
tendenzialmente senza limite, delle persone coinvolte. Un altro punto, altrettanto spaventoso e indiscutibile è il tempo: le conseguenze durano decenni. Dunque nessun governo può essere davvero in grado di governare una simile catena di eventi, come dimostra il ritiro dal nucleare di Paesi industriali come la Germania e come accadrà in Giappone.

10. Ma la ragione più importante per partecipare al referendum è il potere di decidere dato ai cittadini su questioni essenziali. Rinunciare è un delitto contro la democrazia.

Il Fatto Quotidiano, 5 giugno 2011

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