L’urto del pensiero Raggi, Appendino e la società dei mediocri

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21.6.2016, 21:28
di PAOLO ERCOLANI
La nostra è l’epoca in cui, per citare Paul Ricoeur, all’ipertrofia dei mezzi corrisponde un’atrofia dei fini. In cui la sfavillante opulenza informativa produce, all’atto pratico, una desolante indigenza conoscitiva.

Sappiamo che dobbiamo andare, desideriamo ardentemente farlo, siamo programmati dalla grande industria culturale per muoverci in base ai dettami prestabiliti, ma non sappiamo per dove.

Costretti al viaggio ma privati della capacità di concepire autonomamente una mèta.

Sempre più è così nel nostro esistere quotidiano, ma da molto (troppo) tempo è così nell’agire politico.

Naviganti senza una mèta

Il teatrino mediatico appiattisce tutto sul “chi vince e chi perde”, senza denunciare il dato più clamoroso e significativo: nessuno, né chi vince né chi perde, ha vinto o perso sapendo dove andare. Dove portare il paese.

La politica è diventata mera gestione del qui e ora, un più o meno onesto concentrarsi su problemi attuali, stringenti, concreti, come se una vita affrontata senza una visione di insieme non fosse, per ciò stesso, una vita destinata a produrre problemi in continuazione, per quanto si possa essere bravi a risolverli.

Per troppo tempo ci hanno raccontato la stupidaggine secondo cui conta il viaggio e non la meta. Il viaggio stesso sarebbe la meta.

Peccato che la vita non è un tour operator e, soprattutto, noi non possiamo permetterci di essere in vacanza. Mai come oggi non possiamo permetterci la vacanza del pensiero.

Finché tutti, onestamente o meno che sia, si candideranno a guidare la nave senza più preoccuparsi di dove portarla, di un’idea di paese, di mondo, di porto, noi che di quella nave ne siamo i passeggeri non avremo nulla di che festeggiare.

Finché non torneremo a pensare la nostra vita, saremo semplicemente condannati a viverla.

Il problema è che da molto tempo, oserei dire almeno dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, il sistema tecno-finanziario dominante (tecnologia mediatica + capitalismo finanziario, entrambi di matrice neo-liberista) ha programmato e diffuso, ai più vari livelli (informazione, televisione e scuola, in primis), un sistema di formazione ed educazione di personalità e menti «mediocratiche».

Mediocrazia

Il trionfo della mediocrità è andato di pari passo con la sconfitta della ragione.

Ad occupare i gangli vitali del sistema sociale (università, politica, informazione, cultura, dirigenti), sono state per lo più figure magari non prive di qualche competenza specifica nel rispettivo settore di appartenenza, ma totalmente incapaci di pensiero autonomo, di iniziativa scollegata da ordini superiori, da un sistema che non può essere intaccato né minimamente messo in discussione. Anche e soprattutto se non funziona.

L’esempio più lampante, ai vari livelli, è quello fornito dai «giovani vecchi»: ossia quelle persone che, pur anagraficamente giovani, non sanno far altro che riprodurre, in maniera patetica ma ancor più sterile, comportamenti, automatismi e convinzioni di chi li ha preceduti.

I pochi non disposti a ciò, sono condannati alla persecuzione e all’emarginazione da ogni posto di lavoro, specie di natura dirigenziale.

Si tratta di un fenomeno mirabilmente descritto dal filosofo canadese Alain Denault nel suo ultimo libro («La mediocratie», Lux Editeur).

Nel caso italiano dobbiamo aggiungere un tassello non secondario: i mediocri a cui è stato concesso uno spazio esclusivo (nel senso che le menti «divergenti» sono state perlopiù escluse), non sono soltanto coloro che operano in un sistema senza minimamente mettere in discussione (o provare a oltrepassare) le cornici di quel sistema stesso.

Mediocrità

Nel nostro infausto Paese, infatti, a tutti i livelli (e ognuno, in ogni ambito e professione non fatica ad accorgersene) ad essere stati inseriti nei posti che più o meno contano (e in cui più o meno si fanno danni), sono stati anche coloro che hanno conseguito quel posto per diritto ereditario, per filiazione o raccomandazione, come premio per il servilismo concesso a un potente di turno che, poi, li ha degnamente premiati.

Potrà sembrare troppo riduttivo, o invece troppo cervellotico (a seconda dei gusti), ma qui risiede il fulcro attraverso cui comprendere non solo il tempo presente, ma anche, nello specifico, il contesto politico.

Prendiamo il Movimento Cinque Stelle, indiscusso trionfatore dell’ultima tornata elettorale e seriamente candidato a rappresentare il futuro governativo dell’intero Paese.

Esso da una parte sembra essere composto da dilettanti allo sbaraglio, da una classe politica emersa senza alcun filtro qualitativo e selettivo che non sia la Rete (sic!), senza alcuna esperienza della macchina amministrativa. Per di più, con l’inquietante presenza di una «proprietà» composta dalla società di comunicazione di Casaleggio e dal «garante» Beppe Grillo.

Ma è un fatto che il trionfo di questo Movimento, le stesse modalità con cui esso «funziona», rappresentano il prodotto naturale di un’intera classe politica, dirigente, informativa e manageriale che ha fallito miseramente. Incompetente, mediocre (per i motivi spiegati sopra) e distante dai problemi reali della gente (bene che vada); truffaldina, corrotta e orientata soltanto al bene materiale dei singoli politici e delle rispettive corti (nel peggiore dei casi).

È il fallimento della vecchia classe dirigente a fornire, paradossalmente, al Movimento pentastellato quella mèta (o «piccola» narrazione) che manca a tutti gli altri: non se ne può più di questa classe corrotta e incompetente, «noi» cittadini dobbiamo insorgere e cacciarli via tutti in nome dell’onestà e della trasparenza.

Un programma forse rozzo, sicuramente populista e di impossibile realizzazione, ma comunque un programma che intercetta i disagi e le istanze di una popolazione sempre più martoriata.

Raggi e Appendino alla prova dei mediocri

Ma la vecchia classe dirigente, quella perlopiù composta da mediocri un po’ in tutti i settori centrali della sfera pubblica, non è nemmeno capace di accorgersi della grande onda che sta per travolgerla.

Basti solo considerare il modo patetico in cui la vecchia politica si sta facendo lentamente (ma inesorabilmente?) distruggere dal Movimento penta stellato. Oppure assistere allo spettacolo penoso di una classe giornalistica (a sua volta composta ormai per buona parte da mediocri, da figure messe lì in virtù di tutto tranne che dei loro meriti), che, pur di compiacere capi e capetti, attacca in maniera vergognosa le due neo-sindache di Roma e Torino, prima ancora che si siano fattivamente insediate sulle rispettive poltrone.

Un giornalismo che ha tollerato l’intollerabile, commentato l’incommentabile, tentato di mascherare il disastro che pure riluceva, quando si trattava di «raccontare» quella classe politica «mediocre» quanto il giornalismo stesso.

Mentre ora non si vergogna nemmeno un po’ di reclamare a gran voce (bene che vada) alla Raggi e all’Appendino di realizzare l’impossibile prima ancora che possano materialmente provarci.

Oppure di offenderle e sminuirle con toni sessisti, di incastrarle con presunti scandali, di distruggerle col potere della comunicazione.

La vera posta in gioco

Ma è un’impresa impossibile, perché dai mediocri provengono soltanto azioni mediocri: vale per i Fassino e per una vecchia politica che se continua così ha i giorni contati. Ma vale anche per un giornalismo che, con il suo vergognoso appoggio alla vecchia classe politica, ha dimostrato di non contare nulla, di non spostare alcun voto oltre a non saper fare l’unica cosa che gli compete: informazione.

Risiede qui la vera sfida per il futuro prossimo: sconfiggere la mediocrità. Spezzare le catene di una società in grado di produrre soltanto elementi mediocri, burattini o pupazzi guidati da un ordine superiore che si riserva l’esclusiva di stabilire il confine tra il vero e il falso, il giusto e lo sbagliato, il buono e il cattivo.

Formare ed educare cittadini capaci di pensiero critico e autonomo, oltre che forniti di competenze e di un senso etico rispettoso della collettività, rappresenta il grande obiettivo da cui non possiamo più deragliare.

Al di là di chi vince, o perde, questa o quell’altra tornata elettorale. Perché senza quel tipo di cittadini di cui ho detto, anche votare diventerà presto un esercizio del tutto irrilevante.

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