Manovra, la lista della resa del Governo all’Europa

By Giuseppe Colombo
Procedura evitata a caro prezzo: tagli, risorse congelate, nuove tasse e rinunce per 10 miliardi. Più 2 miliardi accantonati. E dal 2020 tornano le clausole di salvaguardia
La procedura della Commissione europea nei confronti dell’Italia per debito eccessivo non parte. Per ora. L’accordo tra Roma e Bruxelles sulla nuova manovra ha al momento un via libera informale: il giudizio definitivo arriverà infatti solo a gennaio. Ma già guardando oggi ai numeri dell’intesa si evince come il prezzo pagato dal governo gialloverde è imponente. La lista della resa per fare digerire all’Europa la legge di bilancio prevede tagli, risorse congelate, nuove tasse e un ridimensionamento delle misure cardine. Il conto da pagare è di 10 miliardi. Subito. Le concessioni non finiscono qui. Perché Bruxelles ha preteso e ottenuto un controllo sul cantiere italiano anche per il 2020 e il 2021 attraverso il mantenimento delle cosiddette clausole di salvaguardia sull’Iva: se non si troveranno coperture alternative, quei 19 miliardi vanno tirati fuori aumentando l’imposta.

I tagli last minute per chiudere la trattativa. Uno degli espedienti a cui ha dovuto fare ricorso il governo per convincere la Commissione è stato quello dei tagli. Bruxelles ha indicato tagli di 4 miliardi sul fronte degli investimenti. Come riferito dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante l’informativa nell’aula del Senato, la quota nazionale per il finanziamento delle politiche comunitarie sarà decurtato di 800 milioni (il taglio sarà più pesante di 150 milioni dal 2020 al 2024). La mannaia impatterà anche su Ferrovie dello Stato: il prossimo anno i progetti previsti dovranno fare a meno di 600 milioni, che saliranno a 800 dal 2020 al 2024. Pagherà il conto salato della resa anche il Fondo per lo sviluppo e la coesione territoriale: 800 milioni in meno. Altri 75 milioni saranno sottratti al Fondo per lo sviluppo del capitale immateriale, produttività e competitività. Considerando solo l’anno prossimo dai tagli si recuperano così 2 miliardi e 75 milioni.

Dalla web tax ai giochi, nuove tasse per raggiungere quota 10 miliardi. Ai circa 2 miliardi che arriveranno dai tagli vanno aggiunte le risorse provenienti da nuove tasse. Sarà introdotta la web tax, cioè una tassa a carico dei colossi di Internet: l’aliquota, secondo quanto si legge nella bozza dell’emendamento relativo al tema, sarà del 3 per cento. Un sacrificio maggiore rispetto a quello previsto sarà richiesto al settore dei giochi.

La caccia ai soldi coinvolge anche i centri per l’impiego. Tecnicamente sono definite maggiori entrate. In pratica altri soldi che arrivano da ridimensionati di spesa o cancellazione di agevolazioni. È il caso che riguarderà ad esempio i centri per l’impiego: nel 2019, ma anche per i due anni successivi, si spenderanno 150 milioni in meno rispetto alle risorse previste inizialmente. L’altro pozzo da cui attingere soldi è costituito dal credito d’imposta goduto da quei soggetti che compiono investimenti in beni strumentali nuovi: sarà cancellato. Così come in alcune Regioni sarà abrogato il credito d’imposta per l’Irap, l’imposta sulle attività produttive, fino ad oggi concesso a quei soggetti che impiegano lavoratori dipendenti a tempo indeterminato.

Reddito di cittadinanza e quota 100 prosciugati di 4 miliardi. I nuovi saldi arriveranno attraverso gli emendamenti attesi in commissione Bilancio, ma è confermato che le due misure care a Luigi Di Maio e Matteo Salvini dovranno cedere rispettivamente 2 miliardi e 1,9 miliardi. Le risorse per il reddito scendono da 9,1 miliardi (incluse le risorse per il restyling dei centri per l’impiego) a 7,1 miliardi, mentre per gli anticipi pensionistici con 62 anni di età e 38 anni di contributi la spesa prevista per il 2019 calerà da 6,7 miliardi a 4,7 miliardi.

Due miliardi congelati per rispettare gli obiettivi di bilancio. Per l’attuazione delle misure previste dalla manovra il governo dovrà fare a meno di due miliardi. Le risorse sono state “accantonante” per usare le parole di Conte. Sono cioè bloccate, non utilizzabili: ritorneranno a disposizione solo se il monitoraggio dei conti certificherà gli obiettivi programmatici di bilancio, cioè se le previsioni su debito e deficit non sballeranno.

Una bomba a orologeria sui conti del 2020-2021: le clausole Iva. Bruxelles ha ottenuto una vigilanza di fatto anche sui conti successivi al 2019. Le clausole di salvaguardia sull’Iva, infatti, tutelano i vincoli europei di bilancio dalle spese previste da uno Stato. Un’assicurazione onerosa. Perché se per il prossimo anno il governo è riuscito a disinnescare le clausole, evitando così l’aumento dell’Iva e delle accise, le stesse clausole resteranno per il 2020 e il 2021. Nella versione della manovra antecedente all’accordo con Bruxelles, invece, le stesse clausole erano state sterilizzate parzialmente, facendo calare il loro peso di circa 5,5 miliardi nel 2020 e di 4 nel 2021. Nulla da fare. Cancellare e ripristinare. Il governo ora dovrà fare i conti con un impegno imponente, pari rispettivamente a circa 19,2 miliardi nel 2020 e circa 19,6 miliardi nel 2021. Sono soldi che andranno trovati: se non si riuscirà a farlo ecco che scatteranno gli aumenti dell’Iva proprio perché quel gettito va comunque garantito.

La retromarcia su deficit e Pil. I saldi festeggiati da Di Maio sul balcone di palazzo Chigi il 27 settembre sono carta straccia. Cambia il deficit nominale, che dal 2,4% per tre anni passa a 2,04% (di fatto 2% perché i decimali sono arrotondanti per difetto). Radicalmente stravolta la stima per il Pil: da +1,5% a +1% nel 2019. Fine della teoria della crescita ipertrofica – sostenuta dal governo da settembre a oggi – che doveva abbattere deficit e debito. L’esecutivo ridimensiona i sogni di gloria sulla crescita, ora allineata a quel valore – l’1% appunto – stimato dai principali enti e organizzazioni nazionali e internazionali. La retromarcia sul Pil, secondo quanto riferito da fonti vicine alla trattativa, è stata imposta da Bruxelles sia per una questione di credibilità sia perché era necessario trovare uno strumento in grado di impattare sul deficit strutturale, pallino della stessa Europa. È quel deficit che non tiene conto delle misure temporanee. Nella sua versione originaria, il governo aveva previsto un peggioramento di 0,8 punti percentuali, facendolo salire così dallo 0,9% all’1,7 per cento. Tutto azzerato: si ritorna allo 0,9 per cento.

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