Referendum NoTriv: 7 falsi motivi con cui vogliono convincerci ad andare al mare invece di votare

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di Giorgio Maran, con la collaborazione di Gianluca Ruggieri – possibile.com – 23 marzo 2016

Domenica 17 aprile 2016 si vota per il referendum contro le trivellazioni in mare. Se vincerà il sì, come auspichiamo, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente. La vittoria del sì bloccherà la proroga a tempo indeterminato delle concessioni per estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana introdotta nella legge di stabilità del dicembre 2015. Le estrazioni potranno comunque proseguire fino alla scadenza delle concessioni attualmente vigenti. Il quesito di fatto interessa 26 concessioni attive che comprendono 79 piattaforme e 463 pozzi. Di queste, 9 concessioni sono scadute o in scadenza ma con proroga già richiesta; le altre 17 concessioni scadranno tra il 2017 e il 2027. In caso di vittoria dei no invece, tutte le estrazioni continueranno a tempo indeterminato “per la durata di vita utile del giacimento”.

L’Italia si è presa l’impegno di accelerare la transizione dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili già dalla Conferenza di Parigi, insieme ad altri 185 (!) paesi, al fine di mantenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi entro il 2020. Non mantenere questo impegno vuol dire lasciare una situazione deteriorata a chi verrà dopo di noi. In più, bisogna sapere che a pagare di più per le catastrofi ambientali saranno proprio quelli con meno mezzi per difendersi. I poveri insomma. Ma per rispettare gli impegni qualcosa va fatto: ad esempio dobbiamo lasciare dove sono, parte delle fonti fossili che già conosciamo. L’Italia si è già presa questo impegno.

Con questa consapevolezza procediamo per punti, partendo dagli argomenti di chi è favorevole alle trivelle.

1. Smettere di trivellare significa dover importare idrocarburi, legandoci mani e piedi a Putin o al caos libico. FALSO.
Innanzitutto il referendum è soprattutto sui giacimenti di gas, i cui consumi sono in continuo calo (e con essi la produzione nazionale di gas), quindi una diminuzione della produzione di fonti fossili può essere compensata da un risparmio energetico che è anche la soluzione migliore dal punto di vista ambientale, economico e occupazionale.

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Ovviamente questo calo del fabbisogno di gas ha avuto delle ripercussioni: dal 2017 in poi sono almeno 60 le centrali che dovremo chiudere. In sostanza abbiamo il parco di centrali a turbogas migliore d’Europa ma lo usiamo pochissimo a causa del boom delle rinnovabili, dell’aumento di efficienza del sistema e dell’assenza di un piano energetico nazionale (l’ultimo è di 40 anni fa). Infatti anche i teorici della realpolitik possono mettersi il cuore in pace: la dipendenza energetica italiana non è mai stata così bassa dal 1990, anche grazie alle fonti rinnovabili che sono passate dal soddisfare il 5% dei consumi finali lordi di energia del 2005, al 21% del 2014 (avevamo un obiettivo al 17% al 2020). Dovremmo piuttosto pensare a spostare verso il settore elettrico molti degli usi finali che attualmente non lo sono, come ad esempio la mobilità e la climatizzazione degli ambienti.

2. Il referendum sulle trivelle è come quello sul nucleare del 2011, votando SI’ perderemmo un’occasione come allora. FALSO
Il NO al nucleare del 2011 è stata una scelta lungimirante. Niente scorie, disastri e investimenti e tempi fuori controllo per la costruzione di centrali. Per contro, il NO al nucleare ha reso possibile il decollo delle energie rinnovabili: il fotovoltaico produce oggi una quantità di energia paragonabile a quella che avrebbero generata due reattori nucleari che, nella migliore delle ipotesi, sarebbero stati pronti nel 2025. Non a caso chi aveva in programma di costruire nuovi impianti, come l’Inghilterra con Hinkley Point, è in un mare di guai.

3. Le piattaforme ci sono giĂ  e non inquinano, quindi non ci sono problemi ambientali. FALSO
Come dimostrano i dati ISPRA per il triennio 2012-2014 diffusi da Greenpeace la situazione ambientale non è delle più rosee: ben oltre il 70% delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Cioè gli Standard di Qualità Ambientale vengono sistematicamente superati, spesso per sostanze cancerogene in grado di risalire la catena alimentare raggiungendo l’uomo.

4. Ma allora voi pensate di fare immediatamente a meno delle fonti fossili e di usare solo lLavro_Trivelle-222x300e
Lavoro Trivelle5. Lo stop alle trivelle ci farĂ  perdere un sacco di posti di lavoro. FALSO
Qualcuno ha detto che il referendum mette a rischio posti di lavoro e quindi bisogna schierarsi a favore delle trivelle. Oltre che una battaglia di retroguardia, è anche una battaglia sbagliata. Con un Pil italiano che dal 2000 ad oggi è cresciuto con fatica, le rinnovabili sono uno dei pochi settori i cui consumi sono in forte crescita (tra l’altro smentendo l’adagio per cui per fare sviluppo bisogna necessariamente consumare più energia).
In più, i posti di lavoro legati alle rinnovabili sono tutt’altro che trascurabili: 7,7 milioni nel mondo nel 2014 e con un ritorno, per ogni 1$ investito, tre volte maggiore in termini occupazionali.

6. Se non trivelliamo noi, trivella la Croazia e si prende tutti i vantaggi lasciandoci il rischio ambientale. FALSO
A fine ottobre 2015 il premier socialdemocratico uscente Zoran Milanovic aveva rinviato a dopo le elezioni ogni pronunciamento sul progetto delle trivellazioni in Adriatico e, nel gennaio 2016, il nuovo premier conservatore ha confermato lo stop.

7. Se smettiamo di trivellare e diminuisce la nostra produzione, aumenterà il traffico delle petroliere nei nostri mari per le importazioni. Verrà così vanificato il vantaggio ambientale e sopporteremo costi più alti. FALSO
Innanzitutto non è detto che le importazioni debbano aumentare, anzi (vedi punto 1). Gli impianti coinvolti dal referendum estraggono gas naturale che arriva in Italia in larghissima maggioranza attraverso i gasdotti che portano il gas da Russia, Olanda e Norvegia, Libia e Algeria. Nel 2015 solo il 9,9% del gas importato in Italia è arrivato via mare in forma liquida (GNL) presso i rigassificatori di La Spezia, Rovigo e Livorno. Quindi nessuna invasione delle petroliere nel mediterraneo.

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