Servizi segreti, la fiducia di Conte scatena i 5 Stelle (di Andrea Colombo).


Dl Covid. Il governo blinda il decreto escludendo così l’emendamento sulle nomine all’intelligence firmato da 50 grillini. Scontro in aula.
Quando oggi pomeriggio, alle 15.30, la Camera voterà la fiducia posta ieri dal governo sul dl Covid è possibile che all’appello manchino molti voti 5S. Non è la prima volta che serpeggiano tensioni tra il presidente del consiglio e l’una o l’altra delle tante anime, divise e reciprocamente ostili, del Movimento. Ma è la prima volta che la tensione si manifesta in modo esplicito, con il premier (appoggiato da un bel pezzo della delegazione pentastellata al governo) da una parte e quasi tutte le aree interne al M5S dall’altra.
LA PIETRA DELLO SCANDALO è la norma inclusa nel decreto che modifica parzialmente la legge del 2007 sui servizi segreti e proroga per 4 anni i vertici di Dis, Aise, e Aisi. L’innovazione è che la proroga dei vertici, che per legge può essere stabilita solo per un secondo periodo di ulteriori 4 anni, verrà divisa in tranches invece di essere stabilita una volta per tutte. Secondo i 5S consentirebbe la proroga oltre i tempi stabiliti dalla legge e agevolerebbe la riconferma alla guida del Dis dell’ex capo della Guardia di Finanza Gennaro Vecchione, osteggiata dalla maggioranza. Secondo palazzo Chigi l’interpetazione è però errata, dal momento che la nuova norma si limiterebbe a prevedere più rinnovi consecutivi ma comunque senza superare il tetto di due rinnovi per 8 anni complessivi.
I grillini hanno comunque presentato un emendamento soppressivo, prima firmataria la deputata Federica Dieni, sottoscritto da 50 deputati delle diverse componenti 5 Stelle, per eliminare la norma. Sia il reggente Vito Crimi che i ministri pentastellati avevano cercato invano nei giorni scorsi di convincere i ribelli a eliminare l’emendamento, considerato da Giuseppe Conte inaccettabile. Non essendoci riusciti, ieri pomeriggio il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà ha posto una questione di fiducia che si spiega solo con l’intenzione di evitare il voto su quell’emendamento. Non c’erano alcuna fretta e nessun ostruzionismo in atto. La somma degli emendamenti era anzi particolarmente ragionevole: non più di una trentina.
L’OPPOSIZIONE ha reagito con rumorose proteste, ma sin qui è copione. Però la hanno presa male anche i 5S, e non si era mai arrivati a un simile fronteggiamento aperto tra il premier e una parte della sua maggioranza nonché dello stesso partito di cui è espressione. «La normativa sui servizi segreti non riguarda alcuni o pochi ma tutti. Sono profondamente contrariata dalla fiducia e ci tengo che resti agli atti. Le cose non si risolvono così ma in parlamento», ha replicato in aula Federica Dieni. La sua non è una posizione isolata. «La fiducia esautora il parlamento e restringe la trasparenza sull’intelligence», scrive in una nota furibonda Alessandra Ermellino, eletta con i 5S e passata poi al Misto. Molti tra i firmatari dell’emendamento cancellato d’autorità promettevano diserzioni al momento del voto ed è probabile che alcuni, se non tutti, lo faranno davvero. Per il governo non è un problema, data l’ampia maggioranza di cui dispone a Montecitorio. Lo sarebbe stato al Senato, dove lo scarto è esiguo. Ma palazzo Madama ha già approvato il decreto alla fine di luglio.
Nessuno negli altri partiti della maggioranza ha emesso anche solo un sussurro di protesta di fronte a una forzatura multipla e palese. Forzatura, peraltro, resa ancor più marcata dal fatto che il governo non si è neppure riunito per votare l’autorizzazione necessaria per porre la fiducia. «Lo avevamo già fatto lo scorso 7 agosto», ha spiegato il ministro D’Incà e anche in questo caso nessuno, nella maggioranza, ci ha trovato nulla da ridire.
LO SCONTRO DI IERI a Montecitorio non è un incidente isolato e circoscritto. Nei mesi scorsi le critiche alla tendenza accentratrice di palazzo Chigi sono state mosse, più o meno apertamente, da praticamente tutta la maggioranza, in un’occasione o nell’altra. E oggi dovrebbe arrivare in aula, al Senato, il dl Semplificazioni, slittato ieri perché ancora mancava l’accordo nella maggioranza. Anche qui il governo metterà senza dubbio la fiducia. Il testo finale del maxiemendamento non era ieri sera ancora definito, dunque resterà sino all’ultimo impossibile capire quanto lo stesso governo abbia accettato di modificare il testo iniziale che Conte aveva deciso senza neppure consultare la sua maggioranza.
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