Attilio Bolzoni: “Ci serve un pentito di Stato, un Presidente della Repubblica, un uomo dei servizi segreti o un Generale”

FRANCESCA SCOLERI

23 luglio 2016 – Mafia
– Dott. Bolzoni, i suoi colleghi Nuzzi e Fittipaldi sono stati recentemente assolti da una accusa che il mondo del giornalismo non dovrebbe assolutamente conoscere: reperire informazioni.

Lei ben conosce questo drammatico paradosso, ma a differenza dei suoi colleghi appena citati, ha dovuto affrontare il carcere per aver pubblicato le rivelazioni di un pentito.

Chi non conosce la storia potrebbe pensare sia accaduta sotto il fascismo e invece eravamo quasi negli anni 90.
Cosa ricorda oggi di quei giorni ?

“La mia storia racconta una Palermo molto particolare. Il mio arresto e quello di Saverio Lodato – lavoravamo insieme in quel periodo – rappresenta solo uno specchio di quel momento. Noi siamo stati il capro espiatorio perché l’obiettivo non eravamo noi. Era un segnale. Noi siamo stati arrestati innanzitutto, con un reato infamante per un giornalista: concorso con pubblico ufficiale -rimasto ignoto – in peculato. Una parola che fa venire in mente un reato economico, un giornalista che ha dimestichezza col denaro…

In realtà, avevamo pubblicato la cantata di un collaboratore di giustizia, un capomafia, Nino Calderone, che parlava dei rapporti fra mafia e politica e quindi, la cosa fece infuriare molto. Il Procuratore che fece l’ordine di cattura quel 16 marzo 1988, non ha mai arrestato un solo ladro di galline a Palermo. Solo due giornalisti.

Noi, lavoravamo da tanti anni su quel fronte perchè, nei primi anni 80, dopo la guerra di mafia – la città mattatoio, è nato un nuovo giornalismo a Palermo, molto più libero, quindi quello fu un avvertimento in puro stile mafioso da parte di quel magistrato.

Siamo nell’88, appena pochi anni prima, nessuno parlava di mafia, nessuno scriveva di mafia ma adesso se ne parla troppo e a sproposito. Nel giro di 30 anni, si è passato dal silenzio assoluto, a un rumore fondamentalmente silenzioso. Che cos’è la mafia ? Per me la mafia non è più quella dei corleonesi di Totò Riina, quella è stata una parentesi violentissima durata 25 anni. La mafia si traveste, cambia pelle e quando fa questo processo, noi non la riconosciamo mai. La cercavamo nei campi ed era già nei cantieri, la cercavamo nei cantieri ed era già a fare la droga, la cercavamo nella droga e faceva finanza. Oggi la mafia è molto più pettinata, profumata, politicamente corretta e sta nei convegni insieme a noi e il limite più grosso di una certa antimafia, è l’incapacità di riconoscerla.”

– Da oltre 30 anni, racconta la Sicilia e la mafia che per nostra sciagura, ha percorso la via preannunciata da Sciascia quando diceva “Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia…”Un sistema consolidato composto da criminali, colletti bianchi e imprenditoria, è questa la mafia che ha conquistato la nazione?

“Dopo le stragi, ho lavorato 10 anni sui corleonesi ma nei 10 anni successivi sono rimasto disorientato, non capivo più cos’era la mafia. Perché? I corleonesi, sono una piccola parentesi nella storia della mafia, 25 anni di violenza, ma prima dei delitti eccellenti degli anni 80, erano passati circa 80 anni dall’ultimo delitto eccellente, era il 1893 quando ci fu l’uccisione del marchese Notarbartolo, il simbolo di Palermo, del Banco di Sicilia. Quindi, la mafia si nasconde e se non la cerchi non la trovi. Invece i corleonesi, hanno rappresentato solo il braccio armato di altre forze, preliminare di un sistema politico mafioso in Sicilia. I delitti eccellenti non li hanno voluti solo i corleonesi, anche se materialmente, li hanno commessi. Se pensiamo al delitto La Torre, Mattarella, Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, non possiamo pensare che siano solo questi 70 caproni di Corleone. Gente che veniva dal niente ed è tornata nel niente . La mafia oggi occupa posti chiave del potere in Sicilia e in Italia ed è una mafia che non sempre riconosciamo subito. La mafia proletaria, la mafia popolare è stata quasi decimata, ma l’aristocrazia mafiosa va avanti e c’è ancora molto da scoprire su come alcuni personaggi abbiano salvato il sistema criminale italiano.”

– Lei ha visitato il covo di Bernardo Provenzano dopo la sua cattura, disse che era “un covo miserabile pieno di Crocifissi, rosari e santini”. Attraverso il processo trattativa Stato-mafia e il processo sulla mancata cattura di Provenzano, scopriamo a distanza di oltre 20 anni, che Provenzano è sfuggito alla cattura in più occasioni. Le ultime sentenze su Mori e Obinu, ci consegnano un’irrilevanza penale della mancata cattura, lei che idea si è fatto ?

“Prima della mancata cattura di Provenzano, c’è stata la mancata perquisizione del covo di Riina. Dietro ogni cattura eccellente, c’è sempre un mistero. Riina è stato latitante dal 1969 al 1993. Provenzano, è stato latitante dal 1963 al 2006. Non avevano lo status di latitanti, avevano lo status di capi di Stato riconosciuti perché chi è latitante per tutto questo tempo, è di fatto, un latitante libero. Solo quando hanno cominciato a cercarli li hanno presi. Tutta la vicenda della trattativa, non solo processuale ma anche storica, è strettamente legata ai misteri del covo di Riina e alla mancata cattura di Provenzano. Mi fanno sorridere quelli che dicono la trattativa non c’è. Da quando esiste lo Stato italiano, c’è un pezzo di apparati che tratta con le classi criminali italiane e questo è un dato storico. Che poi, il dottor Di Matteo, riesca a dimostrarlo nel suo processo è un altro discorso che riguarda il corso della giustizia. Ma il fatto che lo Stato italiano, ripeto, non la mafia ma lo Stato abbia chiesto accordi e abbia trattato con la mafia, è dal 1861, accade da quando esiste l’Italia. Gli ufficiali dei carabinieri sono stati assolti sia per quel che riguarda la mancata perquisizione del covo di Riina, sia per la mancata cattura di Provenzano e questo è il risultato giudiziario. Ma da quel processo sono emerse verità che erano state nascoste.

Il magistrato ha dei confini precisi che sono determinati dalla legge, dai codici, dalle regole e fuori da quel confine non può andare, ma un osservatore, uno storico, un giornalista, un esperto, può avventurarsi in altre ipotesi. Io, da cittadino italiano, non mi accontento delle sentenze su Capaci e Via D’Amelio, verità che mi hanno offerto dei magistrati anche bravissimi perché sono arrivati fin la, ma io non mi accontento perché sono convinto che a fare quelle stragi non sia stata solo Cosa nostra il che non significa che abbiano fatto male le indagini. In alcuni casi sicuramente ci sono stati depistaggi però dobbiamo capire che la verità storica non coincide mai con la verità giudiziaria. Nel 1984 arriva Buscetta e per la prima volta si rompe il muro di omertà di Cosa nostra, sono passati 32 anni ma il muro dell’omertà di Stato non si è rotto. Oggi ci serve un pentito di Stato : un Presidente della Repubblica, un Generale dei carabinieri un capo dei servizi segreti…un pentito di Stato potrebbe offrirci frammenti di verità che ad oggi non sono ancora affiorati.”

– Con il libro “La giustizia è cosa nostra”, lei e il compianto Giuseppe D’Avanzo, avete cercato di dimostrare come le manine del potere soccorrono abitualmente la mafia.

Sono le stesse manine che intralciano il lavoro di ottimi investigatori – mi viene in mente l’attuale capo scorta di Niino Di Matteo, Saverio Masi, che accumula note di merito eccellenti fino a quando non individua il covo di Provenzano. Da quel momento in poi, viene trattato alla stregua di un delinquente.
Come si fa la guerra alla mafia in queste condizioni?

“La mafia non sarebbe mafia se non avesse dei complici dentro gli apparati. Il libro è di 30 anni fa e racconta di processi aggiustati e il simbolo di questi processi aggiustati è quello che riguarda l’uccisione del Capitano Basile. E’ il processo più tormentato della storia giudiziaria per quanto riguarda la mafia. Hanno provato a condizionarlo e ad aggiustarlo da dentro il palazzo di giustizia in tutti i modi ma non ci sono riusciti. Prima dell’era Falcone, i processi a Palermo si trattavano nei corridoi, nei villini a mare…non si discutevano nelle aule di giustizia. I mafiosi stavano in carcere pochi mesi o pochi anni, ma sapevano che dovevano uscire. Dopo l’arrivo di Falcone e Borsellino, avviene una rivoluzione e si ristabiliscono le regole. Si è scoperto che un pezzo di magistratura era complice. All’epoca però, era molto più evidente la complicità del potere, oggi è molto più subdola e meno riconoscibile. Un’antimafia legata al potere ad esempio, non è una vera antimafia. Si parla dell’isolamento di Di Matteo, non posso dimenticare, un paio d’anni fa, il vecchio CSM è andato a Palermo e il vice presidente non ha stretto la mano a Di Matteo. E’ stato un bruttissimo segnale. Di Matteo non è un buon magistrato perché indaga sulla trattativa o non è un buon magistrato in assoluto ? Il vice presidente che dichiara – il protocollo mi impedisce di incontrare Di Matteo – indica un atteggiamento ambiguo.”

– La negazione della trattativa Stato-mafia ha raccolto molti consensi, almeno quanto oggi la giustificazione della stessa. Maria Falcone, ad esempio, ha dichiarato “Se trattativa c’è stata, non credo che si sono voluti salvare i potenti, ma che si sia cercato di proteggere la sicurezza italiana”.

Eppure c’è una sentenza che ne prova l’esistenza. La trattativa c’è stata. Ma l’oggetto dell’accordo qual é stato secondo lei ?

Lunghe latitanze e mancata perquisizione del covo di Riina per cominciare ?

“Ci sono verità indicibili. Gli Stati, non solo l’Italia, hanno sempre trattato con le classi pericolose. Non sono corpi fuori dalla società. La trattativa c’e’ stata prima, durante e dopo le stragi che poi questa abbia rilevanza penale o meno non è fondamentale. Il negazionismo va molto di moda, ad esempio – Roma mafia capitale – è altrettanto evidente che ci sono organizzazioni mafiose radicate da decenni a Roma ma la maggior parte degli osservatori e della popolazione ne nega l’esistenza. Io ho seguito molto il processo di mafia capitale, sono andato in aula a Rebibbia e c’erano degli imputati, un famosissimo commercialista e un famosissimo consigliere comunale del PD, che si chiedevano – ma noi che ci facciamo qui ? – non si rendevano nemmeno conto del perché fossero li. Non bluffano. E’ tanto fradicio il tessuto sociale e politico della Capitale che non si rendevano conto delle ragioni per le quali erano li insieme al nero Carminati, un signore, che per 18 anni è rimasto libero e in un Paese civile, un personaggio come Carminati non può rimanere libero ma anche li, siamo nelle zone di confine dove non sai mai chi è guardia e chi è ladro. Roma come Palermo. Gli stessi contesti.”

– La parola antimafia, crea molti imbarazzi ultimamente. Ma è necessaria questa etichetta per dimostrarsi ostili all’azione mafiosa ?

“L’antimafia c’è sempre stata anche quando non si chiamava antimafia. L’antimafia moderna nasce subito dopo il delitto Dalla Chiesa e si è allargata estesa e diffusa dopo le stragi del 92. Io credo che abbia avuto una funzione veramente importante l’antimafia sociale in Italia fino a qualche anno fa ma poi, c’è stata una degenerazione dello spirito originario. Bisogna fare una distinzione tra la mafia che si traveste da antimafia, tra dei sistemi imprenditoriali mafiosi che occupano potere e l’antimafia che è degenerata. E’ vero che ci sono dei cerchi che mettono in relazioni queste tre realtà, però bisogna distinguerle. C’è l’antimafia dei finanziamenti pubblici da centinaia di migliaia di euro e l’antimafia dei funzionari delle grandi associazioni che provengono da un sottobosco politico. Bisognerebbe fare un esperimento : togliere per un paio d’anni un bel po di finanziamenti alle associazioni antimafia e assisteremmo ad un fuggi fuggi generale.

In alcuni casi, c’è la complicità del ministero degli Interni che concede finanziamenti esorbitanti per dei progetti che, vien da chiedersi, saranno andati a buon fine con tutti i milioni stanziati ? Ho conosciuto un signore di Avviso Pubblico, che gira l’Italia battendo cassa alle amministrazioni per organizzare convegni con partecipanti zero. Sono personaggi improbabili che si improvvisano esperti di mafia, che parlano di legalità e che vanno in giro per l’Italia a proporre pittoreschi kit per la legalità. Ma intorno alla maggior parte di queste realtà c’è solo un obiettivo, rastrellare denaro pubblico. Bisogna chiudere i cordoni della borsa. Poi c’è un’antimafia sociale che è ostile ad ogni dialogo, alcune realtà sembrano sette, appena uno le critica viene accusato di essere mafioso. Io non ne posso più di questi predicatori della legalità, imbonitori e saltimbanchi. Hanno messo su un circo. E a proposito dei predicatori della legalità, è molto grande la distanza tra quello che urlano nelle piazze e quello che in realtà fanno.
Un altro tema interessante è quello delle costituzioni di parti civile: quando un’associazione accompagna un commerciante, un imprenditore che denuncia la mafia lungo tutto il percorso – lo porta dalla polizia, dal magistrato, lo convince a collaborare – è giustissimo che si costituisca parte civile perché ha partecipato al percorso che porta al processo. Ma questo baraccone delle parti civili che c’è oggi in Italia è scandaloso.

Mi viene in mente un’associazione a Marsala che si chiama Paolo Borsellino, è formata da un solo avvocato che non fa nulla tutto l’anno, ma ha pensato bene di costituirsi parte civile al processo Aemilia e per questo ha ricevuto un risarcimento. C’è poi il caso di un comune sciolto per mafia – come quello di Brescello – che ha perfino ricevuto un indennizzo dopo la costituzione di parte civile al processo Aemilia. A questo punto credo che bisogna ridimensionare i finanziamenti alle associazioni antimafia perché sono emerse troppo vergogne.”

– Infine, dottor Bolzoni, cosa succede intorno al pm Nino Di Matteo ? Totò Riina lo minaccia platealmente di morte, e lo stesso Stato che guarda alle stragi di Capaci e Via D’Amelio giurando “mai più”, non si cura di dimostrargli vicinanza ?

“Lasciare solo un magistrato come Nino Di Matteo dopo tutto quello che è accaduto in Sicilia, è scandaloso”.

Un sentito grazie a Sabrina D’Elpidio e Annalisa Insardà per aver contribuito alla realizzazione di questa intervista.

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