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In tre mesi 40mila attacchi via Twitter: donne nel mirino della violenza social
Secondo ai numeri registrati da Vox-Osservatorio italiano sui diritti le manifestazioni di odio contro le donne non si fermano neanche dinnanzi ai femminicidi, anzi la rilevazione mostra dei picchi proprio in corrispondenza con i delitti. L’8 giugno quando l’Agcom, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato il regolamento per contrastare l’hate speech

di Simona Rossitto e Serena Uccello

5′ di lettura

L’ultimo – e citabile – epiteto è “sbrufoncella” . Che sia un’offesa è evidente dal tasso di derisione intrinseco. Che sia un’offesa pericolosa è evidente dal fatto che a pronunciarla è un ministro dell’Interno, Matteo Salvini, contro una donna, Carola Rackete, la donna che a capo della nave Sea Watch 3 ha forzato il blocco navale, previsto dal decreto sicurezza, per portare in salvo a Lampedusa quarantadue profughi. Contestualmente e successivamente alle parole di Salvini, sui social Carola Rackete è diventata oggetto di attacchi brutali oltremisura.

La prima donna, in questo caso una politica, a finire in modo continuativo e massiccio nel tritacarne degli attacchi attraverso web e social è stata Laura Boldrini. L’esordio al suo insediamento come Presidente della Camera e da lì fino ad arrivare in Tribunale. E se le donne impegnate politicamente sono quelle più esposte – con la Boldrini ad esempio Alessandra Moretti, Matilde Siracusano, solo per citarne alcune, o di recente la consigliera comunale milanese del Partito democratico Diana De Marchi minacciata mentre partecipava a una trasmissione televisiva su Telenova (“Sgozzate quella cagna comunista e parassita”) o gli insulti sessisti a Bastia Umbra, in occasione delle ultime elezioni, a Catia Degli Esposti che viene definita testualmente «quella culona schifosa» – , la lista si sta velocemente e drammaticamente allungando: scrittrici, intellettuali, sportive, cantanti.

La scrittrice Michela Murgia, ormai da tempo nel mirino dei fan di Salvini e di Salvini, dopo l’ultimo suo intervento in occasione della Repubblica delle donne è finita al centro degli attacchi di un gruppo di Facebook che si chiama Gruppo uniti a Salvini. Il gruppo per la violenza degli attacchi è stato segnalato alle autorità postali. Alla cantante Emma Marrone è bastato schierarsi contro la politica migratorio del governo italiano per finire attacata dal consigliere della Lega Massimiliano Galli, che la invitava «ad aprile le cosce facendoti pagare», anziché pensare ai porti. A scatenare la reazione del leghista era stata la frase “Aprire i porti” pronunciata dalla Marrone durante il concerto ad Empoli. I commenti sessisti su Facebook non hanno risparmiato persino l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti per la missione “Futura”. E che la situazione si sta velocemente aggravando non è una percezione ma una evidenza confermata dai dati che registrano la violenza rivolta alle donne e non solo.

Donne sul podio delle categorie più odiate, picchi di tweet in concomitanza con femminicidi

Con circa 40mila tweet negativi nel giro di tre mesi, le donne anche quest’anno si confermano tra le categorie maggiormente nel mirino degli haters via social. Gli ultimi dati, riferiti al periodo marzo-maggio 2019, della mappa curata da Vox-Osservatorio italiano sui diritti registrano un piccolo aumento dell’1,7% dei tweet rispetto allo stesso periodo del 2018. Mentre per gli omosessuali, grazie probabilmente anche al cambiamento culturale prodotto dalle leggi sulle unioni civili, continua per il secondo anno di seguito la tendenza negativa nei tweet di odio (-4,2%), le donne sono ancora sul podio delle categorie più vessate. Insieme agli islamici (30.387 tweet negativi) e ai migranti (che registrano quest’anno l’aumento più forte e si piazzano in pole position con a 49.695 tweet negativi)
Le manifestazioni di odio contro le donne non si fermano neanche dinnanzi ai femminicidi, anzi la rilevazione mostra dei picchi proprio in corrispondenza con i delitti. Ad esempio guardiamo all’8 aprile scorso quando a Napoli e Messina due uomini uccidono le loro compagne, portando il numero dei femminicidi avvenuti da inizio 2019 a 13. I tweet, nell’occasione, superano i 750. Altro picco il 6 maggio, quando si arriva a quota 1.350. Stavolta vicino Roma, durante una lite, un uomo ha ucciso la moglie con un colto di pistola. È il terzo femminicidio in tre giorni. «È il terzo anno di seguito che accertiamo un aumento dei tweet negativi in corrispondenza con i femminicidi. È acclarato da interpretazioni di psicologi e sociologi – commenta Silvia Brena, giornalista fondatrice di Vox Diritti – che i discorsi di odio on line di fatto sdoganano per alcune categorie border line il fatto criminoso. È come se si sentissero legittimati dal microclima negativo». Le donne, come gli omosessuali, sono maggiormente colpite anche in occasione di eventi locali o internazionali forieri di polemiche, come il Convegno delle famiglie di Verona o le diatribe sulle famiglie arcobaleno.

Il contenuto dei tweet

«Ha due guanciotte giuste da riempire di schiaffoni», «Da un nero ti devi trafiggere», «questa vuole i migranti per altri motivi personali», «fatti curare deficiente, spero che tutto ciò ti si ritorcerà contro», «sembri un cesso plastificato», «ti stupriamo». Cosa sono? Sono alcuni degli insulti rivolti a Michela Murgia. Li citiamo perché in quasi tutti casi i toni sono i medesimi. L’abbigliamento considerato provocante o comportamenti che un codice machista bolla come istigatori scatenano l’odio via social. Le parole più usate per offendere sono tutte a sfondo sessuale, da “troia” a “puttana” a “cagna”, e via così senza risparmiare gli insulti più triviali e gravi assieme. Parole che gli uomini che odiano le donne usano per cercare di colpire in maniera più violenta possibile. Sì perché di vera e propria violenza contro le donne, seppur verbale, si tratta. Secondo Vittorio Lingiardi, professore ordinario di Psicologia Dinamica all’Università La Sapienza di Roma, l’odiatore oggi ha pure un connotato in più, cioè l’orgoglio delle sue azioni: «Ha il petto in fuori e rivendica la ribalta. Non si sente più solo, ma legittimato. Si tratta di un cambiamento radicale e preoccupante».

Dove si concentra l’odio verso le donne A guidare la classifica dei luoghi dove più si manifesta l’odio via social contro le donne ci sono soprattutto le grandi città. La misoginia si concentra in particolare a Milano, Napoli Firenze e Bologna. Manca, tra i grandi centri, Roma che invece si connota per uno spiccato antisemitismo. La mappatura di Vox consente l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole giudicate sensibili e mira a identificare le zone dove l’intolleranza è maggiormente diffusa, dividendoli in sei gruppi: donne, omosessuali, migranti, diversamente abili, ebrei e musulmani. Il progetto ideato da Vox-Osservatorio italiano sui diritti è in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’università di Bari, La Sapienza di Roma e il dipartimento di sociologia dell’università Cattolica di Miano.

Cosa si può fare

Di fronte a uno scenario per nulla confortante appare necessario agire con qualche forma di auto-regolamentazione da parte degli stessi social. Soprattutto, ritengono gli esperti di Vox, da parte di Facebook che qualcosa sta facendo “ma è ancora poco, a nostro giudizio”. Un secondo aspetto, fondamentale, su cui lavorare è quella della prevenzione, a partire dalle scuole dove educare i ragazzi al linguaggio dell’inclusione. Sul fronte delle autorità regolatorie italiane, un segnale positivo si è registrato l’8 giugno quando l’Agcom, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha approvato il regolamento per contrastare l’hate speech. La novità più rilevante consiste proprio nelle nuove competenze dell’Autorità sul web e sui social. «Si tratta – commenta Mario Morcellini, commissario dell’Agcom nonché consigliere alla Comunicazione della Sapienza – di un testo molto importante che arricchisce la nostra cassetta degli attrezzi nella prevenzione alla discriminazione e al dilagare dei discorsi d’odio. Seppur si tratti di misure soft, è importante sottolineare che i fornitori di piattaforme per la condivisione di video hanno l’obbligo di trasmettere all’Autorità un report trimestrale sul monitoraggio effettuato per l’individuazione dei contenuti d’odio on line, con l’indicazione anche delle modalità operative e dei sistemi di verifica utilizzati. Gli stessi dovranno prevedere campagne di sensibilizzazione o altre iniziative aventi ad oggetto l’inclusione e la coesione sociale, la promozione della diversità, i diritti fondamentali della persona al fine di prevenire e combattere fenomeni di discriminazione on line». E conclude: «Potevamo certo attendere i tempi ordinari e fisiologici della legge nazionale, ma abbiamo deciso di dare un segnale a tutti gli utenti della rete troppo spesso sguarniti di qualsiasi protezione».

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