Compagni addio?

Giuseppe Tamburrano

5 giugno 2010
I cinesi hanno abolito la parola. Ricordo quella volta, quando mi rivolsi a D’Alema: “Massimo, per favore, chiamaci compagni”. Mi guardò beffardo e disse: “Ma! Non si usa più”.

Erano i tempi lontani, ormai biblici, della “Cosa 2” e cioè l’incontro tra tutte le sinistre disastrate dal crollo del comunismo, da Tangentopoli e dai vari accidenti della storia, o meglio della cronaca, per dare vita ad un partito che reniteva a chiamarsi schiettamente socialista e perciò bordeggiava verso una indistinta “Cosa”. In quella frustrante indeterminatezza io, per crederci, mi aggrappavo anche alle parole non riuscendo a trovare contenuti convincenti. Ricordo che in una delle tante riunioni – eravamo nella sala del Capranica gremita di speranze – mi rivolsi a D’Alema: “Massimo, per favore, chiamaci ‘compagni!’”. Mi guardò beffardo e disse: “Ma! Non si usa più” e salì la scaletta della presidenza. Mi misi seduto mogio mogio e aspettai. Parlò per primo Giolitti ed esordì: “Compagni…”. Mi rincuorai, ma Antonio, lui sì, era un “compagno” e dunque il problema restava. Poi prese la parola D’Alema. “Che fa?” mi chiesi. E lui: “Mi hanno chiesto di chiamarvi ‘compagni’. Vabbè! Cari compagni!”. Il “modo ancor m’offende!” ma la sorte li ha puniti e sono finiti nel Pd! Amara soddisfazione.

Quella parola non è un qualunque appellativo di un certo galateo. Evoca un mondo di valori, una grande storia di umanità. Secondo alcuni illustri linguisti la parola viene da “cum panis”, stesso pane. Sono fratelli laici: prendono lo stesso pane della fede nella giustizia terrena come i fratelli cattolici prendono lo stesso pane della fede nella giustizia celeste. Perciò i cinesi, almeno da Tien an Men e dall’ “arricchitevi!” di Deng Xiao Ping l’hanno sostanzialmente tradita e ora anche formalmente bandita come cosa a loro estranea.

Tolti un miliardo e trecento milioni di cinesi sono rimasti in pochi a usare quell’appellativo. È praticato ancora a Cuba, nella Corea del Nord e in alcuni altri partiti e paesi (America Latina, Asia,ecc.), ovviamente “alla cinese”. Data la compagnia spero che saremo sempre di meno perchè “compagno” con quelli non mi ci ritrovo: “Anche la speme, ultima dea, fugge i sepolcri”. E la speranza di un mondo migliore è fuggita, deve fuggire da tutti i paesi e da tutti i partiti usurpatori perchè almeno il terreno sia pulito e sgombro.

Resisteremo su tutto l’orbe terracqueo un gruppetto di matti che ci chiameremo cocciutamente “compagni”; e resisteremo contro la pretesa di chi ha i soldi e vuole gabellarci che questo mondo così disastrato e inumano sia l’unico possibile. Resisteremo e ai sempre più scarsi partecipanti agli incontri in cui si parla di Matteotti o di Gramsci ci rivolgeremo chiamandoli “compagni”; e sempre quando il cuore canta di speranze, canteremo i versi dell’Inno dei lavoratori di Turati (attenti bene!): “Su fratelli, su compagne…”. “Fratelli, compagne” la schiera non è più fitta come scriveva Turati, ma se insistiamo nuovi occhi di giovani si apriranno e vedranno in quale tristo mondo viviamo. Si, è vero: ci siamo sbagliati a credere di cambiarlo con il comunismo o col Welfare. Ma se non è andata con la “Cosa 2” ricominceremo “da 3”. E se non oggi, se non domani. Dopodomani chissà!

Da il Fatto Quotidiano del 5 giugno

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