Expo senza mafia: tutto quello che sapevate è falso

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Perché, vedrete, sarà facile non occuparsi di questi arresti oggi che l’evento è finito, i cancelli sbarrati, il sindaco insediato e l’estate è alle porte. Ma Milano, ci dicono, che sia un avamposto di politica retta e curiosa, ce lo dicono loro, e allora ci aspettiamo tutte le risposte che mancano.

ULTIME NOTIZIEVIDEO 6 LUGLIO 2016 12:03 di Giulio Cavalli

Forse sarebbe il caso scriverlo questo pensiero che galleggia negli ambienti giudiziari, politici e giornalistici e che in molti bisbigliano solo sotto voce? Forse sarebbe il caso di porre le domande non comode anche se la corrente tira tutti da un’altra parte? Forse il nostro lavoro non sarebbe proprio quello di verificare, interrogare, dubitare e osservare? E allora sganciamola la bomba: parliamo di questo Expo disinfettato quel tanto che è bastato per costruirci narrazione e propaganda e poi già oggi tornato ad essere il solito mercimonio di interessi mafiosi, bidè di cosche e grumo di poteri. Parliamone, senza filtri.

Reati tributari, riciclaggio e associazione per delinquere con l’aggravante della finalità mafiosa: negli undici arresti di questa mattina (che interessano Expo ma anche Fiera di Milano) ci sono tutti i reati che ci si potrebbe aspettare, che erano stati previsti e che i pessimisti rancorosi avevano osato predire senza ritegno. Ma non è questo il punto; non si è così ingenui qui da credere che sia il caso di bloccare qualsiasi evento come vaccino alle infiltrazioni. Il fatto (ed è politico ma anche sociale) è che sulla narrazione di un Expo (e Fiera) libero dalle mafie è stato costruito tutto il castello di propaganda per la campagna elettorale su Milano e molta della credibilità del governo nazionale. Si è insistito scientemente nel raccontare una favola travestita da analisi, abbiamo assistito ad una delle più potenti campagne di disinfestazione del dubbio.

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Eppure quel camion intercettato in viaggio verso la Sicilia con 400.000 euro in contanti, guidato da Liborio Pace con la baldanza di chi nasconde la refurtiva, è la fotografia di una Milano che è stata capitale morale dell’autocompiacimento e della narrazione di se stessa. Ora sarebbe bello sapere da Raffaele Cantone in primis e poi a scendere per tutte le commissioni antimafia particolari come sia stato possibile infilarsi in un fortino che ci avevano assicurato fosse inaccessibile. Cosa non ha funzionato? I controlli? Le leggi? Le persone? Al di là del dato giudiziario c’è bisogno di comprendere quale meccanismo non abbia funzionato e quale controllo sia stato troppo facile da aggirare. È politica, dare risposte.

E poi ci sono quei brutti presentimenti che andrebbero spazzati una volta per tutti: il Presidente del Consiglio che ringraziava la magistratura per la “sensibilità dimostrata” su Expo (una frase che poi nessuno si è preso la briga di spiegarci, il risultato di un’elezione milanese che forse sarebbe stato diverso con un tempismo differente e il solito ottimo tempismo di scoprire i buchi di un evento solo quando si sono spenti i riflettori tutti intorno.

Perché, vedrete, sarà facile non occuparsi di questi arresti oggi che l’evento è finito, i cancelli sbarrati, il sindaco insediato e l’estate è alle porte. Ma Milano, ci dicono, che sia un avamposto di politica retta e curiosa, ce lo dicono loro, e allora ci aspettiamo tutte le risposte che mancano. Perché altrimenti viene il dubbio, e viene per davvero, che le autorità anticorruzione o le commissioni antimafia siano la forma evoluta delle pro loco di questi tempi.

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