Il patto del nuovo Senato: 100 seggi e meno poteri ma ritorna l’immunità. Renzi: vince l’asse con Fi

Sfida di Grillo: il premier scelga tra noi e Berlusconi. Boschi sull’Italicum: le liste bloccate non sono tabù

Il patto del nuovo Senato: 100 seggi e meno poteri ma ritorna l’immunità.  Renzi: vince l’asse con Fi
Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli (ansa)

ROMA. Adesso il patto è suggellato nero su bianco. Lo firmano Partito democratico, Forza Italia e Lega. Lo scrivono insieme Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli, i relatori della riforma che ieri hanno presentato venti emendamenti comuni. La spina dorsale del Senato rivoluzionato è questa: 100 componenti, 95 scelti dai consigli regionali, 5 di nomina del presidente della Repubblica. Con funzioni ridotte: non voterà la fiducia al governo e il grosso delle leggi.
Lo stipendio da consigliere regionale che sarà portato a livello di quello dei sindaci maggiori, quindi abbassato. Ma, a sorpresa, nel testo presentato ieri torna l’immunità parlamentare per i senatori: niente arresto, niente intercettazioni se non autorizzate. Una norma che nel provvedimento del governo non c’era. Una garanzia destinata a far discutere.

Renzi festeggia perché ora il traguardo non ha solo il limite temporale del 3 luglio, giorno in cui la riforma arriverà nell’aula di Palazzo Madama e cominceranno le votazioni. C’è un documento organico che si regge sulle gambe di tre partiti e garantisce i voti necessari per arrivare in fondo entro luglio. «È un ottimo punto di arrivo», dice il premier ai suoi collaboratori. Ha funzionato l’asse con Berlusconi, ovvero il patto del Nazareno. L’interlocutore privilegiato è sempre stato l’ex premier, un modo per difendere la prima mossa politica di Renzi sulla scena nazionale. Era e rimane il più affidabile degli alleati. E i voti di Forza Italia sono indispensabili per condurre la barca in porto visto che il gruppo democratico al Senato resta un’incognita. I 14 senatori dissidenti infatti sono di nuovo pronti a lottare contro la riforma di Renzi. «Non molliamo », annuncia Massimo Mucchetti.

Anche della Lega il premier si fida fino a un certo punto. Non gli è piaciuto come Calderoli ha cercato di intestarsi la vittoria. «Ha bisogno di visibilità, faccia pure. A noi interessano le riforme». Le regioni perdono competenze, competenze che tornano allo Stato. «Il Cnel sparisce. Infrastrutture, energia, commercio con l’estero, turismo tornano alla struttura centrale», elenca Renzi. Vuole dire che il federalismo c’è, ma vengono corretti i guasti dell’eccesso di autonomia locale. «Calderoli prova a rigirare la frittata facendo finta di aver vinto». Non è così, assicurano a Palazzo Chigi. Il senatore leghista ha provato a strappare di più, ha cercato di rompere il muro innalzato da Boschi e Finocchiaro. Quando ha visto che resistevano, ha cercato al telefono Renzi. Invano perché il premier non gli ha risposto. Calderoli si è sfogato su Facebook usando la vecchia terminologia di Bossi: «Abbiamo trovato la quadra. Chi la dura la vince».

Ridimensionato il ruolo della Lega, ora il governo deve trovare la maniera migliore per non cadere in quella che considera, fin dall’inizio, la «trappola » di Beppe Grillo. Mercoledì è fissato l’incontro tra il Pd e i 5stelle. È lo stesso giorno in cui scadono i termini per presentare gli emendamenti dei singoli senatori in commissione. Per questo i grillini chiedono di anticipare di 24 ore il vertice. Chiedono di avere un certo margine di manovra. «Noi vogliamo discutere di tutto, anche del Senato — dice il comico — Ma Renzi deve sapere: o noi o Berlusconi». L’esecutivo ha già scelto. Lo ha confermato il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi: «C’è un accordo, c’è un percorso che facciamo da tempo. È giusto ascoltare tutti ma non si cambia partner all’ultimo minuto». Parole che scatenano la rabbia grillina contro il Pd che «preferisce stringere patti con un pregiudicato ». Ma non smuovono Renzi. Semmai sarà l’esecutivo a riaprire in parte il capitolo dell’Italicum. Ieri la Boschi non ha chiuso lo spiraglio per una legge con le preferenze o i collegi.

Del comico e della Lega il Partito democratico pensa che vanno tenuti a distanza di sicurezza dalle riforme, compresa la legge elettorale, un carro su cui vorrebbero salire se trovassero la porta spalancata di un accordo allargato per l’abolizione del Senato. Le alleanze trasversali infatti sono sempre in agguato. Nel Pd si ricompone la frangia dei 14 autosospesi poi rientrati nel gruppo. Vogliono dare battaglia in aula se i loro emendamenti non troveranno ascolto nella commissione Affari costituzionali.

«Quando il cappotto è allacciato male — esemplifica il senatore Mucchetti — inutile giocare con asole e bottoni. Devi riaprilo e allacciarlo daccapo». In parole povere, «la riforma è un obbrobrio anche con gli emendamenti Finocchiaro-Calderoli». Mucchetti prevede una guerra a tutto campo. Consiglia di sorvegliare la vicenda del reintegro del ribelle Mario Mauro nella commissione. «Potrebbero esserci sorprese». Suggerisce a Renzi «di abbassare la cresta. I suoi paletti non sono articoli di fede. Sono scritture umane come quelle di tutti noi». E spiega che la tregua col capogruppo Luigi Zanda è molto chiara: «L’articolo 67 sull’assenza del vincolo di mandato vale in commissione e in aula. I nostri emendamenti ci saranno».

È fondamentale, per rispettare i tempi e per non riscrivere tutto daccapo, avere i voti necessari. Con Forza Italia e la maggioranza di governo, i dissensi del Pd saranno assorbiti senza problemi.

Ma la partita in casa democratica è solo all’inizio. «Forza Italia è in sofferenza, l’Ncd ha idee simili alle nostre. E non difendiamo i diritti dei cittadini di eleggere i senatori, non una casta», avverte Chiti. Che aggiunge: «Speriamo che Alfano mantenga una posizione per più di 12 ore e non si allinei a Renzi. Almeno stavolta ». Quello che si è mosso nell’Udc, in Scelta civica, in Sel dopo l’uscita dei filo-renziani, dovrebbe mettere al riparo Renzi e la sua riforma. L’obiettivo è la prima lettura entro luglio, che consentirebbe poi all’esecutivo di concentrarsi esclusivamente sui temi economici e sul semestre di presidenza italiana della Ue. «Ora la commissione può cominciare a discutere e a votare per garantire quei tempi che avevamo promesso ed arrivare presto al voto in aula», dice Anna Finocchiaro. L’ostacolo vero è rappresentato proprio dal voto finale di tutti i senatori. Ma un successo immediato nella commissione lascerebbe ai dissidenti dei partiti del patto uno spazio di manovra molto ridotto. Sarebbe difficile rimettere in discussione l’impianto della riforma.

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