Il vero scandalo è in Parlamento

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EDITORIALE
—  Patrizio Gonnella, 7.4.2015
Una scena del film “Diaz” di Daniele Vicari
C’è un giu­dice in Europa. I fatti di Genova risal­gono al 20 luglio del 2001. In quella cir­co­stanza una buona parte delle isti­tu­zioni si è sen­tita legit­ti­mata a ragio­nare e ad agire come se fosse in uno stato di ecce­zione. La pre­senza di due mini­stri nella cabina di regia delle ope­ra­zioni di poli­zia con­tro i mani­fe­stanti assunse il signi­fi­cato di legit­ti­mare l’eccezionalità di quanto stava acca­dendo. Ci furono le bru­ta­lità della Diaz e poi le tor­ture di Bol­za­neto. Non furono epi­sodi mar­gi­nali o «mele marce».

Fu qual­cosa di siste­mico e strut­tu­rale. L’anno prima vi erano state le vio­lenze al Glo­bal forum di Napoli e quelle denun­ciate nel car­cere di San Seba­stiano a Sas­sari. Tre anni prima, ovvero nel luglio 1998, l’Italia solen­ne­mente aveva fir­mato lo Sta­tuto della Corte Penale Inter­na­zio­nale che avrebbe dovuto giu­di­care su scala glo­bale i gravi cri­mini con­tro l’umanità, tra cui per l’appunto la tor­tura. Tre­dici anni prima, nel 1988, l’Italia aveva fir­mato e rati­fi­cato la Con­ven­zione Onu con­tro la tor­tura che all’articolo 1 defi­niva il cri­mine e agli arti­coli suc­ces­sivi impe­gnava tutti i Paesi a punirlo in modo ade­guato ed effi­cace. In Ita­lia la tor­tura invece non è un reato. A Stra­sburgo se ne sono accorti e così è arri­vata la con­danna per quanto acca­duto alla Diaz.

La parola chiave di que­sta sto­ria è «scandalo».

La pie­tra dello scan­dalo non è la tor­tura pra­ti­cata, in quanto essa non è mai pur­troppo una sor­presa, nean­che nelle più con­so­li­date delle democrazie.

Chi si sorprende della tortura fa sempre il gioco dei torturatori
È uno scan­dalo il fatto che per 25 anni la classe diri­gente di que­sto paese non ha avuto alcuno slan­cio nel nome dei diritti umani. La sto­ria par­la­men­tare ci rimanda a iner­zie, meline, oppo­si­zioni nel nome ora della ragion di stato, ora dello spi­rito di corpo, ora delle mani libere.

Una sto­ria poli­tica dove è dif­fi­cile capire chi non sia respon­sa­bile. Dal 1988 si sono suc­ce­duti governi della prima e della seconda Repub­blica, governi di cen­tro­de­stra e di cen­tro­si­ni­stra, eppure la tor­tura non è mai stata cri­mi­na­liz­zata per quel che è, ovvero un delitto pro­prio del pub­blico ufficiale.

Nei pros­simi giorni riparte il dibat­tito alla Camera. La Com­mis­sione Giu­sti­zia ha modi­fi­cato il testo – imper­fetto e incoe­rente rispetto al det­tato Onu – appro­vato in Senato. Per cui ripren­derà il ping pong par­la­men­tare che nelle scorse legi­sla­ture ha decre­tato la morte delle varie pro­po­ste di legge pendenti.

In tutti que­sti anni, abbiamo sen­tito par­la­men­tari chie­dere che non fosse punita la sof­fe­renza psi­chica pro­dotta dalla tor­tura altri­menti alcuni pub­blici mini­steri avreb­bero rischiato l’incriminazione o altri depu­tati evo­care la puni­zione solo per chi tor­tura almeno due volte. Nel frat­tempo la cro­naca ci ha ricor­dato che la tor­tura non è un cri­mine da terzo mondo, ma anche del secondo e del primo.

Tre anni fa un giu­dice ad Asti non ha potuto punire due agenti di poli­zia peni­ten­zia­ria in quanto, come lui stesso ha scritto nella sen­tenza, «in Ita­lia manca il delitto di tor­tura» e le con­dotte dei due agenti coin­ci­de­vano con la descri­zione del cri­mine pre­sente nel Trat­tato delle Nazioni Unite.

Sap­piamo – gra­zie a Vol­taire — che il meglio è nemico del bene. Sap­piamo anche che abbiamo biso­gno di una legge che non per­pe­tui l’impunità dei torturatori.

* Pre­si­dente di Antigone

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