Pd, il verso e il vizio

Vasco Errani, governatore Pd dell’Emilia Romagna al terzo mandato, viene condannato in appello a un anno con la condizionale per falso ideologico: secondo l’accusa, dopo aver finanziato con fondi pubblici la coop del fratello con un milione di euro per la creazione di una cantina non completata nei termini previsti dal bando, avrebbe indotto due funzionari regionali a certificare la correttezza dell’operazione.

Appresa la sentenza, Errani si dichiara innocente, ma rassegna le dimissioni e dice: “Davanti a tutto, l’onore della Regione”. La vicenda potrebbe chiudersi qui, dimostrando una volta tanto che il nesso tra causa ed effetto e tra condanna e dimissioni vale anche per la casta della politica. Non sia mai. Immediatamente il Pd si scioglie in un coro commosso di solidarietà e calde lacrime vengono versate ricordando le virtù eroiche di Errani, neanche fosse Silvio Pellico tradotto nelle segrete dello Spielberg. Non è finita, perché subito dopo Orfini, novello presidente democrat, dà finalmente un senso al suo incarico e “auspica il ritiro delle dimissioni”. Fassino, sindaco di Torino, lo invita virilmente alla resistenza: “Resta al tuo posto”. Taddei, responsabile economico, lancia un hashtag struggente: #ForzaVasco”. Infine scende in campo lo stesso Matteo Renzi che, attraverso la segreteria, ridotta a puro organismo ventriloquo, invita il governatore “a riconsiderare il suo gesto” come se il poveretto fosse stato colto da un momento di follia.

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