Perchè l’Argentina fa bene a sfidare i talebani della finanza globale

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di Jérome Roos – 2 agosto 2014
Mercoledì l’Argentina è finita insolvente riguardo al suo debito sovrano per la seconda volta in tredici anni, sfidando una sentenza di una corte statunitense e una piccola cricca di fondamentalisti finanziari guidati dal magnate multimiliardario di destra dei fondi speculativi Paul Singer. Superfluo dirlo, la maggior parte degli analisti convenzionali stanno già sbandierando i soliti luoghi comuni, facendoci credere che di questo esito sono da incolpare il governo populista dell’Argentina e la sua mala gestione economica. Mentre non val la pena di difendere qui  l’élite politica corrotta dell’Argentina, è importante offrire un correttivo molto necessario a questa stantia narrazione convenzionale.

La prima cosa da notare è che, nonostante ripetute accuse degli avvoltoi che l’Argentina mostra disprezzo per le sentenze dei tribunali statunitensi, la volontà dell’Argentina di rimborsare i suoi debiti è fuori questione. Il paese si è impegnato credibilmente a rimborsare i propri creditori stranieri sin da quando ha ristrutturato il suo insostenibile carico debitorio dopo l’insolvenza storica del 2001, con più del 93% dei detentori di titoli che hanno accettato nuovi titoli freschi di stampa nel 2005 e nel 2010.  In realtà il governo ha depositato il mese scorso 539 milioni di dollari presso la Bank of New York Mellon per onorare i suoi impegni, in pieno e puntualmente. La volontà di pagare semplicemente non è in discussione.

Dunque se l’Argentina vuol pagare e in effetti ha adempiuto i suoi obblighi trasferendo il denaro ai suoi creditori, perché è considerata insolvente? Il problema è che la Bank of New York, come tutte le istituzioni finanziarie, è subordinata agli ordini del giudice Griesa della Corte Distrettuale di New York Sud di non trasferire alcun contante argentino a chi lo rivendica a meno che il governo non abbia prima pagato un piccolo gruppo di cosiddetti creditori “resistenti” che hanno incessantemente perseguito legalmente il paese per ottenere il rimborso pieno sin dall’insolvenza iniziale del 2001. Lungi dall’essere riluttante a pagare, gli ordini della corte statunitense hanno lasciato l’Argentina impossibilitata a pagare semplicemente perché i suoi creditori non potevano ricevere le somme loro dovute.
La presidente Fernàndez, perciò, non era del tutto nel torto quando ha tuonato che l’Argentina non può essere dichiarata in uno stato d’insolvenza e che “dovranno inventare un nuovo termine per definire quello che sta accadendo”. Momenti dopo che lei aveva pronunciato queste parole ha cominciato a fare tendenza un nuovo hashtag su Twitter: #GrieFault  [più o meno: InsolvenzaGriesa – n.d.t.]. Il termine in effetti pare approssimare molto più strettamente quello che davvero sta succedendo.
Il problema più profondo dietro il GrieFault, tuttavia, si riduce al fatto che l’Argentina sta affrontando non soltanto un gruppo di detentori di titoli, ma due: il primo, un gruppo di “obbligazionisti negoziali” con cui ha mantenuto buone relazioni sin dalla ristrutturazione, e poi il gruppo dei creditori “resistenti”, prevalentemente fondi avvoltoio, che hanno rifiutato di accettare i termini dell’accordo e si sono astenuti nella prospettiva di un rimborso pieno. In giugno la sentenza Griesa ha reso impossibile all’Argentina rimborsare i suoi obbligazionisti negoziali se non avesse prima pagato i resistenti (cioè gli avvoltoi).
La sentenza di Griesa riguarda solo 1,5 miliardi di dollari reclamati, che l’Argentina è tecnicamente in grado di rimborsare senza incorrere in problemi seri. Il problema, tuttavia, è che il governo del paese è tenuto dalla legislazione nazionale a onorare i cosiddetti Diritti Sulle Offerte Future, o clausola RUFO [Rights Upon Future Offers], inclusa nei titoli ristrutturati. Questa clausola impedisce al governo di offrire ai resistenti condizioni migliori che ai creditori negoziali. In altri termini, se l’Argentina dovesse offrire ai resistenti un accordo migliore sotto la pressione della sentenza Griesa, dovrebbe offrire lo stesso accordo a tutti i suoi creditori, scatenando potenzialmente reclami ulteriori per 120 miliardi di dollari, secondo le più prudenti stime governative.
Con l’economia del paese in recessione e le sue riserve in valuta ridotte a soli 30 miliardi di dollari, tali reclami schiaccerebbero totalmente le finanze dell’Argentina e determinerebbero un’insolvenza molto più drammatica di quella attuale che riguarda solo i citati 539 milioni di dollari scaduti il 30 giugno e il cui periodo di dilazione è spirato mercoledì. In altre parole, rifiutando di pagare i fondi avvoltoio e cercando in buona fede di onorare i suoi obblighi nei confronti degli obbligazionisti negoziali, leggermente più ragionevoli, si può dire che l’Argentina sia più impegnata a prevenire l’insolvenza che non Paul Singer o il giudice Griesa. L’Argentina, in altre parole, è il partner in affari migliore, qui.
I fondi avvoltoio, per contro, rappresentano i talebani della finanza globale. Diversamente da molti degli obbligazionisti negoziali dell’Argentina, gli avvoltoi, tanto per cominciare, non sono mai stati un creditore legittimo del paese. Non hanno prestato all’Argentina neppure un dollaro; hanno invece acquistato i suoi titoli depressi sul mercato secondario per soli pochi centesimi per ogni dollaro. Ciò è stato facile perché, arrivati alla fine del 2001, molti degli obbligazionisti dell’Argentina erano piccoli investitori al dettaglio, tra cui pensionati in Italia, Germania e Giappone. Terrorizzati dalla prospettiva di perdere i risparmi di una vita, molti di questi disperati investitori al minuto hanno venduto i loro titoli ai fondi speculativi di Wall Street a prezzi enormemente scontati dopo l’insolvenza.
La maggior parte di questi fondi speculativi ha successivamente accettato l’accordo di ristrutturazione del 2005. Avendo acquistato i titoli a prezzi bassi sino a 15 centesimi (alcuni dicono 6 centesimi) per ogni dollari, hanno ristrutturato per 30 centesimi, il che ha fatto conseguire, nel processo, considerevoli profitti. Oltre a ciò, l’accordo includeva numerosi allettamenti per incentivare un’elevata partecipazione degli investitori. Cosa più importante, i nuovi titoli erano accompagnati da un cosiddetto diritto PIL allegato, che significava che gli obbligazionisti avrebbero ricevuto maggiori utili se la crescita dell’Argentina avesse superato una certa soglia. Con la crescita economica del paese a un costante 7-9 per cento tra il 2001 e il 2008, per gli obbligazionisti è stata una manna.
Per alcuni, tuttavia, anche questo non è stato sufficiente. Guidati da Singer, i fondi avvoltoio – fedeli al loro nome – hanno mostrato un comportamento ancor più opportunista di quello degli obbligazionisti negoziali: hanno semplicemente preteso tutto. Naturalmente la pretesa di cento centesimi per ogni dollaro era, tanto per cominciare, del tutto irrealistica, ma dando la caccia all’Argentina su tutto il globo nel corso dell’ultimo decennio, portandola in tribunale in vari paesi e cercando di avanzare diritti su beni all’estero, comprese le ambasciate e persino l’aereo presidenziale del paese, gli avvoltoi si sono dati un gran daffare per recuperare il massimo possibile, senza successo, sinora.
A fine 2012 i compari di Paul Singer sono sembrati prossimi al successo quando sono riusciti per poco tempo ad attaccare l’ammiraglia della marina argentina, La Libertad, in Ghana, tenendo la nave in ostaggio per il pieno rimborso e quasi scatenando una crisi internazionale quando i marinai della nave da guerra hanno brandito i mitra contro gli ufficiali portuali ghanesi dopo che era stato  loro negato il permesso di lasciare il porto. A quanto pare, a parte metodi esplicitamente mafiosi, nessun mezzo è troppo estremo per gli avvoltoi. La sentenza Griesa, tuttavia, ha superato in ferocia ogni altro metodo precedente. “Abbiamo avuto un mucchio di bombe sganciate in giro per il mondo”, ha detto Joseph Stiglitz, “e questi sono gli Stati Uniti  che sganciano una bomba sul sistema economico globale”.
Ad alcuni l’esplicito ripudio argentino della sentenza di Griesa può apparire come ancora un’altra astuta prodezza di disobbedienza del debitore. Tuttavia non dovremmo farci ingannare dalla prima impressione. In verità le due insolvenze dell’Argentina non hanno mai preso di mira la finanza globale. Mentre l’insolvenza del 2001 danneggiò prevalentemente una moltitudine ignara di piccoli investitori al minuto in Europa (Wall Street si era già liberata in precedenza quell’anno dei suoi titoli nello scandaloso mega-swap), quella attuale è strettamente diretta contro un piccolissimo sottoinsieme di investitori speculativi, una fazione particolarmente fondamentalista della finanza globale che è così feroce nel suo perseguimento del profitto da non astenersi dal perseguitare paesi in via di sviluppo tormentati da crisi persino quando i loro cittadini affrontano diffuse discese nella scala sociale per rimborsare il debito pubblico.
Naturalmente l’Argentina ha fatto la cosa giusta dicendo a questi fondi avvoltoio di levarsi di torno, proprio come ha fatto la cosa giusta rifiutando di onorare in pieno il suo insostenibile debito estero nel 2001. Una vittoria per Singer e compagni avrebbe creato un precedente disastroso che avrebbe potuto rendere molto più difficile ai paesi fortemente indebitati (non solo l’Argentina) ristrutturare i loro debiti in modo ordinato in crisi future. Ma, pur mentre dovremmo plaudire alla decisione dell’Argentina di riaffermare la propria sovranità economica, è cruciale notare che l’insolvenza non è tanto dannosa per i creditori stranieri quanto potrebbe sembrare. In realtà, in un’analisi particolarmente perspicace, il commentatore finanziario Felix Salmon ha sostenuto in modo convincente che sia gli obbligazionisti negoziali sia i creditori resistentitraggono vantaggio dalla GrieFault.
Inoltre, come ho sostenuto in un precedente articolo, il governo argentino in mesi recenti è stato costretto a cercare un riavvicinamento con i suoi creditori stranieri al fine di soddisfare la crescente dipendenza strutturale del paese dal capitale straniero. Sin dal 2005 la feroce retorica del governo contro la finanza globale – soprattutto contro gli avvoltoi – si è accompagnata a un parallelo approccio politico pragmatico mirato a ripristinare gradualmente la fiducia degli investitori e l’accesso ai mercati internazionali dei capitali. Mentre la GrieFault può apparire all’occhio ignaro e male informato ancora un’altra radicale rottura con la logica della finanza neoliberista, un esame più attento suggerisce altro: è stato esattamente in un tentativo di mantenere buone relazioni con gli obbligazionisti negoziali e la comunità finanziaria globale più in generale che l’Argentina ha deciso di sfidare gli avvoltoi.
Molti argentini ordinari, pienamente consapevoli di questo fatto e sempre più frustrati per il protrarsi e l’aggravarsi della crisi economica in patria, non coltivano molta speranza nelle soluzioni tradizionali, neoliberiste o neo-peroniste. “Non importa se si tratta di un giudice a New York City o di un presidente in Argentina”,  è stato citato affermare un Porteñ[abitante di Buenos Aires – n.d.t.]. “Sento che nessuno dei due si interessa della gente e del futuro di questo paese. E’ come se questa gente che ha il potere stesse ridendo in faccia a noi cittadini comuni”.
Jerome Roos è dottore di ricerca in economia politica internazionale presso l’Istituto Universitario Europeo e redattore fondatore di ROAR Magazine.
www.znetitaly.org
Originale:  teleSUR English
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3

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