Contro il ddl Pillon la battaglia delle donne. Linda Laura Sabbadini all’Huffpost: “Non va cambiato, va ritirato”

28/02/2019 11:38 CET | Aggiornato 28/02/2019 11:38 CET
Si chiude la fase delle audizioni, poi si aprirà quella degli emendamenti. “Una legge mostro”. Si mobilitano le opposizioni. Bonino: “Dovevamo svegliarci prima”

Linda Laura Sabbadini durante la Giornata Internazionale della Donna al Quirinale, Roma, 8 marzo 2018. ANSA / ETTORE FERRARI


By Luciana Matarese
“Questa battaglia dobbiamo vincerla. Possiamo farlo. Uniti e determinati contro questa legge mostro perché sarebbe un arretramento per tutti. Indietro non si torna”. Linda Laura Sabbadini dà la carica, l’indice puntato contro il disegno di legge Pillon che riforma il diritto di famiglia e le norme sull’affido condiviso. Contestato sin dalla presentazione, il testo è in Commissione Giustizia del Senato: si sta per concludere il lungo ciclo di audizioni – in tutto 118 – e per aprire la fase degli emendamenti. Sabbadini, già direttore del dipartimento delle statistiche sociali dell’Istat, lunga esperienza negli studi di genere, è stata tra i primi a segnalare, anche dalle colonne della “Stampa” – di cui è editorialista – le criticità del provvedimento, che definisce “un atto punitivo nei confronti dei bambini e delle donne, specie di coloro che hanno osato separarsi”, segnalate anche durante la sua audizione in Commissione Giustizia di Palazzo Madama.

Ha usato le stesse parole martedì intervenendo alla presentazione del report stilato da un gruppo di associazioni, sindacati e comitati femministi coordinato da “D.i.Re Donne in rete contro la violenza” per fare il punto sull’attuazione della Convenzione di Istanbul, già consegnato alle esperte del Grevio, il Gruppo del Consiglio d’Europa sulla violenza contro le donne, che dall’11 al 21 marzo sarà in Italia per mettere a confronto quanto dichiara di fare il Governo per la lotta alla violenza e quanto denunciano le associazioni. Le prime a mobilitarsi, a partire da novembre, contro il ddl Pillon, come fa notare Sabbadini all’Huffpost: “Va dato atto all’associazionismo di essersi mobilitato per primo”.

La petizione lanciata da D.i. Re su Change.org per chiedere il ritiro del testo ad oggi sfiora le 152.000 firme e il rapporto per il Grevio contiene più di un riferimento al ddl che “porterebbe – se approvato – un grave arretramento per le libertà e i diritti civili di tutte le donne e, in particolare, per le donne e i bambini vittime di violenza”. Stessa preoccupazione espressa in una lettera aperta inviata al Governo a ottobre dall’Onu, che aveva chiesto risposta entro 60 giorni. E ieri dal Senato si è levato l’appello alla mobilitazione da parte della politica, “una chiamata tardiva, dovevamo svegliarci prima”, ha detto Emma Bonino, che ha organizzato l’iniziativa insieme alla senatrice dem Valeria Fedeli. C’erano associazioni femministe e di madri e padri separati, esponenti di Pd, LeU e +Europa, sono arrivate adesioni da Forza Italia.

Parola d’ordine: il testo non è emendabile, va ritirato. Assenti i Cinque stelle, che pure in questi mesi non hanno risparmiato critiche al ddl presentato da un esponente del partito alleato. A fine gennaio il sottosegretario Vincenzo Spadafora aveva assicurato che “così come è stato formulato non sarà mai approvato”. “Tranne la Lega, avevamo invitato tutte le forze politiche”, spiega ad HuffPost Valeria Fedeli – l’obiettivo è allargare trasversalmente confronto e fronte spingendo sulla mobilitazione sui territori. La battaglia va fatta in Parlamento e nelle piazze”.

Una battaglia che, ci spiega Linda Laura Sabbadini, “si può vincere. Le condizioni per farlo ci sono”.

A cosa si riferisce?

“Il fronte contrario a questo ddl è molto ampio. Migliaia di donne sono scese in piazza a più riprese, tantissime associazioni femminili e per la tutela dell’infanzia si sono schierate contro, il mondo cattolico non sembra schierato dalla parte di Pillon. Sul fronte politico, non solo le forze di opposizione sono contrarie, ma sono importanti anche le posizioni del M5S, come è emerso dalle dichiarazioni della vicepresidente della Camera Spadoni, del sottosegretario Spadafora e dello stesso vicepremier Di Maio”.

Eppure ieri all’appello alla mobilitazione lanciato da Pd e +Europa, il M5S non ha risposto.

“Gli schieramenti sono diversi, ognuno si esprime come crede. L’importante è portare a casa l’obiettivo. Certo, io sono dell’idea che sarebbe bene intraprendere un percorso comune, ma mi rendo conto che, dato il clima politico, è difficile. Le donne devono sapere, però, che è bene essere unite a prescindere, al di là degli schieramenti politici. Perché solo così abbiamo vinto tante battaglie e possiamo farlo di nuovo. Va dato atto all’associazionismo di essersi mobilitato per primo”.

Lei ha sottolineato più volte come sul testo di Pillon anche i cattolici si sono spaccati.

“Non mi sembra che il mondo cattolico sia schierato dalla parte di questo ddl come Pillon ha voluto far credere. È un altro dato importante. Avvenire ha dato spazio alle voci contrarie, emerse anche nel corso di un seminario che si è svolto a Roma a ottobre. Eugenia Roccella ha espresso posizioni molto critiche, come Assuntina Morrese, del Forum delle famiglie, e il vicepresidente della Caritas, Francesco Marsico, solo per fare alcuni esempi”.

Non c’è il rischio, secondo lei, che come è accaduto per il caso Diciotti e per la Tav – che anche per questo testo possa valere quella che sembra una logica di “do ut des” tra i due partiti alleati al governo?

“Bisogna vigilare e agire perché ciò non accada e in primis è bene che lo facciano le donne e in particolare quelle dei Cinque Stelle”.

Il senatore leghista si è detto disponibile a modificare il suo ddl, precisando che i cardini – mediazione, tempi paritetici, mantenimento diretto e lotta all’alienazione – sono nel contratto di governo, quindi rimarranno.

“Questo lo dice Pillon, bisogna vedere se gli altri sono d’accordo. Soprattutto alla luce della mobilitazione ampia che c’è stata”.

Pillon ha invitato a uscire dalla dinamica ideologica “maschi contro femmine”, lei ha scritto: “Quando si parla di relazioni affettive dei nostri bambini, le appartenenze ideologiche e culturali non devono contare”. Stessa analisi da fronti diversi.

“Io ci credo veramente. Pillon, invece, dichiara di voler essere contro gli approcci ideologici, ma questo ddl è puramente ideologico perché rafforza il matrimonio indissolubile rendendo pressoché impossibile e ancora più dolorosa la separazione. Probabilmente il senatore non si rende conto di una cosa”.

Cioè?

“Se passasse questo testo saranno proprio i matrimoni a diminuire: i giovani preferiranno evitare un matrimonio che non può essere sciolto se non con estreme difficoltà”.

Analizziamo il testo nei punti salienti, alla luce dei dati oggettivi. Partiamo dallo stop agli assegni di mantenimento e dal fatto che chi utilizza la casa familiare deve pagare.

“C’è una punizione economica per le donne sia per l’eliminazione dell’assegno di mantenimento per i figli sia per la questione della casa. I dati ci dicono che nelle coppie coniugate che hanno la casa in proprietà, per il 50 per cento l’abitazione è cointestata, per il 30 per cento è intestata solo all’uomo e per il 17 per cento alla donna”.

E quindi?

“Dunque c’è una quota maggiore di donne che, se nel caso di separazione, volessero restare in quell’abitazione, secondo il ddl dovrebbero pagare l’affitto. E siccome secondo i dati Istat ed Eurostat, le donne separate sono più a rischio povertà e esclusione sociale degli uomini – 11 punti in più – si capisce come e quanto siano penalizzate”.

Poi c’è la questione del figlio diviso tra due case e i due genitori. “Bambini come pacchi”, si è detto.

“Tutte le sentenze in questi anni andavano nella direzione di privilegiare la casa principale come garanzia di stabilità per il figlio. Ma se si vuole tanto la rotazione, dico io, ruotassero i genitori. Mi rendo conto che sarebbe oneroso perché servirebbero tre case, ma non si capisce perché debba ricadere tutto sulle spalle del figlio, costretto a dividersi tra una casa e l’altra”.

Lei ha definito questo ddl “un insulto anche per i padri”.

“Non sempre i padri separati riescono a garantire il 50 per cento del tempo ai figli, ma la capacità genitoriale non si misura su questo quanto sulla qualità del tempo che si trascorre con loro. Penso a quei padri magari costretti a lavorare in fabbrica o altrove per tante ore che sono riusciti a costruire con i figli, nel poco tempo a disposizione, un’ottima qualità di relazione. Ecco, saranno costretti ad accudirli a tempo pieno almeno 12 giorni al mese, ma in nome di che? E mi faccio ancora un’altra domanda”.

Quale?

“Mi chiedo: per quale motivo Pillon si pone questo problema solo per le coppie separate e non anche per quelle coniugate o non coniugate?”.

Perché secondo lei?

“Perché è ideologico e probabilmente non ritiene fondamentale che il padre divida a metà con la madre il tempo da dedicare ai figli nelle coppie non separate. Non sarebbe meglio agire sul miglioramento dei congedi parentali per i padri o dei congedi di paternità? Se cresce la condivisione all’interno della coppia, è più facile che il padre si assuma spontaneamente le sue responsabilità anche all’indomani di una separazione. Non è con l’obbligo che si ottiene questo”.

Altro punto contestato del testo è la mediazione familiare obbligatoria.

“Questa è una cosa gravissima. La mediazione funziona se condivisa. La Convenzione di Istanbul dice che nei casi di violenza contro la donna la mediazione deve essere vietata perché mette in pericolo la sua vita. E qui c’è un nodo che non può essere sciolto neanche con un emendamento”.

Per quale ragione?

“Non si può sapere se dietro una separazione c’è la violenza perché il 90 per cento delle violenze non viene denunciato nemmeno al momento della separazione, neanche davanti al giudice. La mediazione familiare obbligatoria va abolita perché non possiamo sapere se la donna sta subendo violenza dal partner oppure no”.

A proposito di violenza in famiglia, si contesta a Pillon anche di voler codificare l’alienazione parentale.

“Secondo l’Istat il 64 per cento dei bambini che vivono in famiglie in cui c’è violenza del padre sulla madre assiste a questa violenza. È chiaro che un bimbo che vede il padre picchiare la madre possa poi rifiutarsi di incontrarlo. Invece il ddl Pillon incolpa la madre, addirittura le toglie l’affido e dispone che il figlio possa essere mandato in una casa famiglia. È terribile”.

Lei ha detto: “Questo ddl punisce anche i figli dei separati di età superiore ai 25 anni”. Che significa?

“Pillon dice che dopo i 25 anni, i figli dei separati non hanno più diritto al mantenimento, a differenza di quanto avviene per i figli dei coniugati. Si creano dunque dispari opportunità, in termini di diritti a essere mantenuti nei casi di disoccupazione o per esempio per il proseguimento degli studi post lauream”.

Il ddl Pillon allarma anche l’Onu, preoccupato di “una grave regressione che alimenterebbe la disuguaglianza di genere”. Per lei esiste questo rischio?

“Il pericolo c’è, ma possiamo e dobbiamo vincere la battaglia contro il ddl Pillon, che va ritirato. Uniti e determinati contro questa legge mostro”.

A chi pensa?

“Alle donne, ai tanti padri separati responsabili e a tutti quelli che hanno a cuore i bisogni dei bambini. Non credo siano una minoranza nel Paese. Indietro non si torna, possiamo farcela”.

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