Gattinoni: «In Italia troppi scienziati a creare confusione. In Germania la Merkel ha parlato solo tre volte»

coronavirus, L’altro Napolista
27 Aprile 2020
L’esperto di terapie intensive a Libero: «L’Italia ha 500 esperti e un numero di commissioni ignoto. Vive in un perenne talk-show.. L’emergenza esalta gli istinti brutali. Buoni e cattivi. Quando passa, tutto torna come prima»
Gattinoni: «In Italia troppi scienziati a creare confusione. In Germania la Merkel ha parlato solo tre volte»

«I tedeschi non sono più bravi di noi e lavorano di meno. Però sono organizzati, ognuno fa la sua parte, non si parlano addosso e amano obbedire. Rispettano le regole, avvantaggiati dal fatto che le loro sono chiare, e perciò si possono permettere di più rischiando di meno».

L’esperto internazionale di rianimazione e anestesia, Luciano Gattinoni, spiega in poche parole, da Gottingen, dove vive, la differenza tra Germania e Italia in un’intervista a Libero. Il modo in cui ciascuno dei due Paesi ha fronteggiato l’emergenza sanitaria.

«Qui la Merkel sul Corona virus ha parlato tre volte. La prima per dire che il 70% dei tedeschi si sarebbe ammalato, la seconda per chiudere il Paese, la terza per riaprirlo affermando che, se la situazione peggiorerà nuovamente, farà retromarcia. Poche parole, chiare. Tutto il contrario di quanto avvenuto in Italia».

Il problema dell’Italia è che ci sono troppi esperti e troppe commissioni.
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«L’Italia ha 500 esperti e un numero di commissioni ignoto, ma del loro lavoro non traspare nulla. Vive in un perenne talk-show. Manca perfino un’analisi della situazione che parta dai numeri. Nessuno parla di rischio sostenibile, non avendolo calcolato».

Troppe voci sono deleterie.

«Se lei mette dieci medici intorno a un malato, questo non ha speranze, muore. In un gruppo allargato ognuno si sente in dovere di dire una cosa più intelligente di quella che ha appena ascoltato, e finisce con lo spararla grossa. Se ci sono più di cinque o sei persone a decidere, la commissione diventa inutile nel migliore dei casi, dannosa nel più frequente, perché l’accordo lo si raggiunge sempre al livello più basso».

Per Gattinoni la quarantena è servita non a debellare il virus, ma a contenere la pressione sugli ospedali.

«Se stanno tutti in casa, ci sono meno malati. Ma il virus non scompare. Quando esci, te lo ritrovi e sei daccapo; a meno che nel frattempo non si sia trovato il vaccino. La quarantena è servita a contenere il contagio e allentare la pressione sugli ospedali. È stata una prevenzione necessaria a non far collassare il sistema. Chi sta a casa però non sviluppa anticorpi, e quando esce non è più al sicuro di prima. Anzi…».

Risponde anche alla domanda sull’elevato numero di morti per virus in Italia rispetto alla Germania.

«L’Italia ha ignorato l’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità tre anni fa, quando il pianeta venne allertato in merito alla probabilità dell’insorgenza di un’epidemia nelbreve periodo. La Germania comperò mascherine e protezioni sanitarie. Noi, per quanto mi risulta, non abbiamo tenuto in considerazione la segnalazione. D’altronde, la prevenzione non crea consenso perché ha successo se non accade nulla, ma come fai a rivenderti politicamente il nulla?».

Parla della Lombardia. La definisce un’eccellenza nell’ambito della terapia intensiva.

«È allo stesso livello di Francia e Germania, superiore a Spagna e Regno Unito. Infatti il numero di morti che abbiamo avuto ha fatto scalpore nel mondo della comunità scientifica».

Ma qualcosa non ha funzionato, nel modello lombardo.

«Qualcosa non ha funzionato. Sostenere, come fanno le autorità regionali, di non aver sbagliato nulla o che tornando indietro rifarebbero le medesime cose non è molto intelligente. Piaccia o no, i risultati hanno un peso».

Il problema sta nella distinzione tra pubblico e privato.

«Occhio alla distinzione tra pubblico e privato. Le aziende private si fanno pagare il servizio dalla Regione, e quindi sono anche un po’ pubbliche, mentre negli ospedali pubblici da anni la fanno da padrone i manager, che hanno cominciato a chiamare “aziende” le strutture sanitarie, importando una mentalità di profitto. In questo passaggio si è perso il senso della missione e si è dato via libera ai tagli, che non aiutano, perché peggiorano sia la qualità del servizio sia quella dei medici, che sono oberati di lavoro e non hanno più tempo per studiare e prepararsi. Mi lasci aggiungere che i grandi medici si formano nel pubblico, che un tempo non era ossessionato dalle spese, poi casomai passano al privato».

I principali problemi, in Italia, sono stati la mancanza di prevenzione e il taglio dei fondi.

«Rientra nella filosofia dell’ottimizzare la sanità, slogan politico per giustificare il taglio dei fondi. Un posto di terapia intensiva però non è solo un letto. Sono sette infermieri ogni due pazienti e cinque medici ogni cinque pazienti. E quando parlo di medici, mi riferisco a specialisti che sanno quello che bisogna fare. Solo così si evitano le morti».

E anche il metodo utilizzato nella cura.

«Se in Germania hai dei sintomi di Covid-19 e vai all’ospedale, all’ingresso trovi un grande cartello che ti ordina di non entrare per nessuna ragione e ti invita a suonare un campanello. A quel punto esce un sanitario che ti prende in cura senza che tu metta piede nell’ospedale e decide se ricoverarti, in strutture riservate ai malati Covid-19, o mandarti a casa, dove viene ordinato al tuo medico curante di assisterti. Mi sembra che in Italia l’individuazione del virus sia appaltata al paziente, in autodiagnosi da casa, al telefono con il medico del territorio. Sempre meglio comunque di quanto avveniva nei primi tempi, quando i sintomatici erano accolti in pronto soccorso senza percorsi differenziati».

Gattinoni esclude che il virus sia diventato meno aggressivo.

«La sua forza resta la stessa, cambia la carica virale, e chi è colpito da più molecole contagiose se la passa peggio, e può cambiare la resistenza che incontra. Ecco, non direi che è diventato meno letale, piuttosto che siamo diventati più bravi noi a curarlo. Per le prime tre settimane i medici sono andati avanti a tentoni. Decongestionare gli ospedali è stato fondamentale perché meno pazienti hai, meglio li curi. E poi certo, più conosci la malattia, più la terapia è efficace. Nei primi venti giorni i pazienti arrivavano con insufficienze respiratorie severe e veniva sparata aria nei polmoni a pressione alta. Poi si è scoperto che così la situazione peggiorava. Con il tempo abbiamo anche capito che era fondamentale che il sangue non si coagulasse e abbiamo iniziato a usare con ottimi risultati l’eparina. E’ un percorso. La scienza procede per tentativi ed errori, e l’esperienza non è altro che l’analisi critica dei propri errori».

Abbiamo imparato come arginare meglio il virus, insomma.

«Ma finché non conosceremo bene tutti i meccanismi di replicazione del virus, non troveremo mai la terapia».

Sulla possibilità che il virus scompaia in estate.

«Può darsi che al caldo si trovi peggio che al freddo. Fatto sta che noi nel corpo abbiamo 36-37 gradi, e lui ci sta benissimo».

Gattinoni non risparmia una stoccata ai virologi.

«Quando parlano del loro mestiere dicono cose interessantissime. Se però si allargano e iniziano a fare gli epidemiologi, e poi i rianimatori, i tuttologi e magari anche i politici, fanno scivoloni in abbondanza, come tutti. Ma qui mi fermo, perché non vorrei rientrare nel gruppo».

Non crede che, dopo l’emergenza, saremo migliori:

«Bisognerebbe studiare la storia a quarant’anni, non alle elementari. Ci sono sempre state epidemie, sono sempre passate e l’animo umano non è mai cambiato. L’emergenza esalta gli istinti brutali. Buoni e cattivi. Poi quando passa, tutto torna come prima».

La differenza tra Germania e Italia, dice, sta nella comunicazione ai cittadini, confusa nel nostro Paese, e nella differenza di autorevolezza riconosciuta alla Merkel e a Conte. E il fatto che ci si nascosti dietro il parere degli scienziati.

«È mancato il manico e si è usato un tono apocalittico per essere ascoltati. Poi ci si è nascosti dietro il parere degli scienziati, solo che il virus era sconosciuto e ogni professore aveva la sua opinione. Si è creata una confusione non da poco, volendo andare dietro a tutti. Peccato che la medicina non è democratica: può essere che uno abbia ragione e il 99% torto».

E conclude su ciò che si dovrebbe fare adesso.

«Mantenere la calma e non ripetere gli errori. Osservare gli altri anziché proporsi come modello: guardiamo cosa succede dove si è riaperto, e se il contagio lì non riparte, copiamo. E poi bisogna fare un calcolo tra il rischio epidemico e il disastro economico che la chiusura comporta».

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