In Sicilia imprenditori senza scrupoli e tecnici famelici hanno soffocato i fiumi


Nonostante i colpi di mannaia che le abbiamo sferrato, la natura è dura a morire ed ogni tanto si fa sentire, urla e si scrolla di dosso le mostruosità che l’incultura, il profitto e la mala politica hanno realizzato.

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La villa dove nove persone, tra cui donne e bambini, sono morti
La villa dove nove persone, tra cui donne e bambini, sono morti
Onofrio Dispenza 4 novembre 2018

No, non dite che in Sicilia le strade sono diventate fiumi. Sono i fiumi che sono stati soffocati. E ritenendoli morti abbiamo costruito sul loro letto strade, osceni palazzi e tant’altro, per lo più abusivo o comunque in maniera insensata e scellerata, con la complicità di tecnici famelici, imprenditori senza scrupoli e amministratori inadeguati, inetti e spesso ladri.

Nonostante i colpi di mannaia che le abbiamo sferrato, la natura è dura a morire ed ogni tanto si fa sentire, urla e si scrolla di dosso le mostruosità che l’incultura, il profitto e la mala politica hanno realizzato. Non solo, fatti i danni, abbiamo oltraggiato la natura e il buon senso con catene di condoni e sanatorie. Provvedimenti folli, che hanno istigato all’illegalità, e che con i quali continuiamo a fare i conti, in tempi che si annunciavano di cambiamento e che si sono rivelati i bandi farlocchi di venditori cialtroni. Istigazione all’illegalità e ingiustizia perpetrata contro chi la legge riteneva che si dovesse rispettare, sempre. Le responsabilità di quel che è accaduto in queste ore in Sicilia vanno spalmate su intere classi politiche che si sino dati il cambio, da quelle del tempo della lira, dei milioni, dei miliardi, a quelli dell’euro, dei milioni dei tempi di magra dove pure si trovavano i soldi per sferrare altri colpi di mannaia all’ambiente. E nuovi condoni. Destra e sinistra e presunti banditori del cambiamento uniti da scelte folli. Le sanatorie non sanano, iniettano l’ultima dose, letale.

L’elenco degli scempi potrebbe riempire gli scaffali di una libreria. Valga un piccolo ricordo personale. Da bambino, il lunedì di Pasqua, con la famiglia andavo in un tratto di campagna, ad Agrigento, tra la città e il mare. Un tratto di campagna attraversato da un fiumiciattolo. Da un lato e dall’altro, campi di fave. Da mangiare crude, piccole e tenere. E il fiume scorreva, come Dio l’aveva voluto. Adesso, se provassi a cercarlo quel fiume, non riuscirei ad individuarne il cadavere. Ci hanno costruito sopra decine e decine di case abusive e sanate. Se piove tanto, tra un muretto e l’altro, individui il fluire scomposto di acque alle quali è stato tolto il letto. E così è a tappeto in tutta la Sicilia, con quartieri nati dove la natura aveva previsto che il fiume respirasse quando le piogge l’ingrossavano. E’ accaduto oggi a Sciacca, accadde anni addietro a Licata. E l’elenco dei disastri fotocopia di Sciacca e Licata potrebbe riempire gli scaffali di una seconda libreria. Quando arrivano morte e distruzione, si maledice il cielo, come se fosse stato il cielo a trattare l’ambiente come una ragazza costretta alla prostituzione.

Fiumi soffocati, terre abbandonate, corsi d’acqua che – con la scusa di prevenire le alluvioni – sono stati cementificati dalla sorgente alla foce. Lavori redditizi, dove si può imbrogliare sul cemento utilizzato, dove si arricchiscono ditte in odor di mafia legate al movimento terra. Risultato? Quando si ingrossano, i fiumi diventano un micidiale proiettile sparato contro i centri abitati, non avendo sfogo nelle campagne circostanti, come Dio aveva pensato. Ma le campagne non sono più campagne, e quelle vicine alle arterie di collegamento sono diventati terreni sui quali fabbricare tutto e di più.

C’è un detto in Sicilia che ben dice quanto inutile sia lamentarsi quando il danno è stato fatto. Dice:”Quannu a Santa Rita l’arrubbaru, ci misiru i grati di ferru”, quando hanno già rubato gli ex voto per Santa Rita, qualcuno ha pensato di metterci grate di protezione.

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