Le domande a cui Di Maio dovrebbe rispondere sul Ddl Pillon

Il vicepremier, ultimamente in vena di dichiarazioni su temi come la violenza sulle donne, non si è mai espresso riguardo all’approvazione del contestato disegno di legge.
21 marzo 2019
di Cristina Obber

Doveva avviarsi a metà marzo 2019 la discussione generale in Commissione Giustizia del Ddl nr. 735 promosso dal senatore leghista Simone Pillon ma ancora non è stata calendarizzata, forse per non danneggiare ulteriormente il contestatissimo Congresso mondiale delle famiglie (World Congress of Families) di stampo ultracattolico in programma a Verona dal 29 al 31 marzo. Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha criticato l’evento definendolo «la destra degli sfigati». Una definizione che appare davvero riduttiva e semplicistica visti i relatori attesi nella città veneta: i maggiori esponenti mondiali dell’integralismo religioso filo-russo sono solo degli sfigati? Le ipotesi sono due: o il vicepremier pentastellato è all’oscuro di ciò che sta accadendo intorno a lui (dilettante allo sbaraglio? accecato da Rocco Casalino? isolato da Matteo Salvini?) o cerca di minimizzare qualcosa che lo mette in imbarazzo con la sua base e che potrebbe significare il tracollo definitivo alle Europe

E allora ci dica lui se quando ha accettato la nomina del ministro Lorenzo Fontana si era informato su chi fosse o se scopre solo ora le sue posizioni, ci dica se le sembra uno sfigato anche lui. Ci dica se quando ha firmato il contratto di governo in cui si parlava di alienazione parentale si è documentato su cosa significasse, visto che dove si parlava di Diritto di famiglia vi erano gli elementi fondanti del Ddl Pillon. Ci dica se aveva letto attentamente il paragrafo Politiche per la famiglia e la natalità in cui il problema della conciliazione casa lavoro è solo delle donne, come se la cura dei figli non dovesse riguardare i papà (che col ddl Pillon entrano magicamente in scena solo dopo la separazione). Ci dica come mai cinque senatori e senatrici pentastellati (Grazia D’Angelo, Angela Piarulli, Elvira Evangelista, Mario Giarrusso, Alessandra Riccardi) hanno firmato con Pillon quel disegno che rendere inaccessibile il divorzio, che ci toglie i diritti acquisiti in 70 anni di battaglie, che vede i bambini e le bambine tornare ad essere considerati una proprietà di un padre ‘capofamiglia’ anziché delle piccole persone. Che pone in situazione di pericolo quelli che subiscono violenza domestica (come evidenziato dalla rete D.i.Re che contro il ddl si è subito mobilitata chiedendone il ritiro con una petizione e la manifestazione del 10 novembre 2018). E non ci risponda che quel disegno di legge andrà emendato, perchè nessun emendamento può scongiurarne la pericolosità, i suoi obiettivi, la riaffermazione del patriarcato in primis, sarebbero semplicemente raggiunti con maggiore lentezza.
BASTA PROPAGANDA ELETTORALE

In un recente post pubblicato su Facebook ha scritto: «Bisogna aumentare le pene per ogni forma di violenza verso una donna». Giusto, ma insieme a quello andrebbe chiesto il ritiro immediato del Ddl Pillon che, ricordiamo, agevola gli uomini violenti e il perpetuarsi della violenza domestica, con danni irreparabili sui minori. E se di «battaglia di civiltà» si tratta, anche il contrasto di questo disegno di legge dovrebbe esserlo. O per lo meno lo è per chi l’ha letto con attenzione. Un intervento social come quello cattura il favore di una platea che chiede giustizia ma sorge il dubbio che si tratti di una proposta da campagna elettorale. Vuole impegnarsi contro il femminicidio, lo stalking, lo stupro? Sappia che oggi non si applicano nemmeno le leggi così come sono, a cominciare dalla legge 119/2015 (seguita alla ratifica della Convenzione di Istanbul) che segnerebbe davvero un cambio di rotta nel contrasto di questa piaga sociale, con attività di prevenzione e di formazione che diminuirebbero i crimini e produrrebbero sentenze più giuste e rispettose delle vittime.

Vincenzo Spadafora, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle pari opportunità e ai giovani, ha dichiarato che l’Italia non ha intenzione di mettere in discussione i diritti acquisiti. In realtà lo ha già fatto, grazie anche al Movimento 5 Stelle. Lo ha fatto con la firma del contratto di governo, con la nomina del ministro Fontana, firmando e rendendo presentabile un disegno di legge che si sarebbe dovuto cestinare già nell’estate 2018. Spadafora ha anche espresso la sua contrarietà al ddl 735, «così come è stato presentato», lasciando aperta dunque la porta ad una possibile revisione. È il momento di essere chiari. Nelle audizioni in Senato, ma anche sui media, decine di associazioni e professionisti/e che si occupano di tutela dell’infanzia, di famiglia, di mediazione familiare, di violenza contro le donne, ne hanno chiesto il ritiro. Addirittura un leghista storico come Mauro Bonato (e non è il solo) si è espresso con parole forti sul tema dimettendosi a Verona dalla presidenza del Consiglio comunale dicendo che «Fontana e Pillon ci vogliono portare al Medioevo». Intanto leggiamo che la deputata pentastellata Tiziana Ciprini non solo si è presentata al fianco di Pillon nella conferenza stampa che lui ha convocato per la festa del papà il 19 marzo, ma che la coppia è sembrata più che mai affiatata tanto che lo stesso senatore ha confermato come i lavori col Movimento proseguano molto bene. Il dubbio quindi sorge sponteaneo: ci dica Di Maio quale sarà la posizione in Commissione Giustizia dei 5 Stelle che quel disegno lo hanno firmato e che numericamente rappresentano l’ago della bilancia? Proporre emendamenti tenendo i piedi in due scarpe significa, nella sostanza, appoggiarlo. Per dire no al ddl la strada è una sola e si chiama ‘ritiro’. E dipende da voi. Ci dica Di Maio, che cosa farete? È una domanda facile che prevede una risposta facile che vogliamo sapere prima delle Europee.

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