MORTI SUL CANTIERE ESSELUNGA

“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Così recita l’art. 41
della nostra Costituzione che pare del tutto inattuato per il cantiere Esselunga di via Mariti a
Firenze. Cinque morti e tre feriti, diversi irregolari sia tra le vittime che tra il resto degli
operai impiegati nelle oltre 60 ditte operanti sul cantiere.
Senza voler ipotizzare cause e responsabilità che devono ancora essere accertate, ciò che
risulta certamente evidente è la negazione del diritto a lavorare salvaguardando la propria
salute fino agli epiloghi piĂą tragici. Sappiamo anche che i morti in edilizia sono oltre 1000
l’anno e che la piaga si estende inarrestabilmente anche agli altri luoghi di lavoro, pur in
vigenza di una legislazione particolarmente efficace e puntuale, riguardante sia le opere
pubbliche che gli appalti privati, quale il testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di
lavoro (D.Lgs 81/08) che, purtroppo, appare sempre più colpevolmente disatteso. E’ possibile
che nel cantiere fiorentino la causa della tragedia non sia ascrivibile alla filiera della sicurezza
inapplicata, come accade invece nel 90% degli incidenti sul lavoro, però già sono emerse
inadempienze quali l’impiego di operai non regolarizzati, privi di permesso di soggiorno.
Manodopera a basso costo, non formata sulla sicurezza in quanto non contrattualizzata e,
ufficialmente, non presente sul cantiere. Fantasmi da sfruttare per poter rientrare nei costi di
un’offerta a prezzi stracciati tesa ad aggiudicarsi l’ennesimo subappalto di una stessa opera.
Passi indietro giganteschi rispetto al 1948, anno di promulgazione della Costituzione che
all’art. 36 recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
qualitĂ  del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla sua famiglia
un’esistenza libera e dignitosa”, e anche rispetto alla prima normativa sulla sicurezza, il
D.P.R. 547 del 1955. Un’involuzione originata da due obiettivi precipui: bassi costi/massimo
profitto e minori tempi di realizzazione.
Due aspetti che contrastano la possibilitĂ  di operare in effettiva sicurezza, sia che trattasi di
prestazioni intellettuali (progettazione, direzione lavori, coordinamento della sicurezza e
RSPP) che di lavoro manuale nella realizzazione delle opere da parte di imprese
appaltatrici/subappaltatrici.
La piaga del massimo ribasso, prevista nella maggior parte degli appalti pubblici (col nuovo
codice 36/2023 voluto da Salvini) e in quelli privati, seleziona imprese e professionisti disposti
ad operare a prezzi piĂą bassi rispetto a quelli di mercato, riducendo il loro legittimo profitto o,
piĂą probabilmente, rinunciando ad obiettivi di legalitĂ  e qualitĂ  che dovrebbero essere insiti
nella realizzazioni di un’opera. Se a questa si aggiunge tempi di progettazione e realizzazione
ridotti per volontà del committente, sia privato che pubblico, il quadro che si delinea è critico
e antitetico rispetto ai necessari presupposti di sicurezza, sempre piĂą spesso vissuti come un
intralcio al ciclo produttivo.
Non a caso nel cantiere Esselunga di Firenze si era avuta una sospetta accelerazione
dell’avanzamento dei lavori per ritardi in precedenza accumulati.
Se a questo si aggiunge il subappalto a cascata, da sempre permesso nell’edilizia privata e
ormai legalizzato anche nelle opere pubbliche grazie al nuovo codice degli appalti, si
comprende come il costo del lavoro debba scendere e gli oneri/costi della sicurezza azzerarsi
per rientrare nelle spese.
Si poteva invertire rotta in senso piĂą restrittivo e tutelante della salvaguardia dei lavoratori
imparando dalle tragedie del passato. Si pensi al drammatico caso della ThyssenKrupp,
oppure all’incidente ferroviario di Brandizzo dove si lavorava in assenza di procedure di
sicurezza per consentire una maggiore libertĂ  di intervento manutentivo. Per non parlare del
caso Luana D’Orazio dove i dispositivi di sicurezza a bordo macchina erano stati
volontariamente rimossi in quanto causa di lentezza del macchinario.
Se tali esempi non fossero sufficienti per prendere i necessari provvedimenti per il rispetto del
testo unico della sicurezza, in termini di maggiori e piĂą efficaci controlli e sanzioni adeguate in
corso d’opera e non a tragedia avvenuta, basti pensare a quello che da decenni viene
permesso all’ex-Ilva di Taranto. Un caso eclatante di ricatto lavoro-salute nei confronti degli
operai, delle loro famiglie, di due quartieri (Tamburi e Paolo VI) e di un’intera città, di un
territorio e dell’ambiente, sottoposti ad uno scempio che è indegno di un paese civile.
Per questo occorre prioritariamente riaffermare i diritti costituzionali dei lavoratori e di tutti i
cittadini, da declinare in diritti all’uguaglianza tra tutte le persone, diritto alla sicurezza, ad un
salario equo e ad una vita dignitosa, mai messa a rischio in nome della produttivitĂ .
23 febbraio 2024 Cinzia Niccolai
coordinatrice CDC Toscana

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