Ostracismo

Sergio Bagnasco
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Giuliano Amato, il vice di Craxi, non sarebbe per Marco Travaglio un buon candidato alla presidenza della repubblica.
Non condivido questo ragionamento, pur condividendo che Amato alla presidenza della repubblica anche NO, grazie.
Travaglio usa il teorema “non poteva non sapere”, discrimina chi ha partecipato a una storia collettiva per il fatto stesso di avervi partecipato.
Secondo questa logica andrebbe inflitto l’ostracismo a chiunque abbia fatto parte a qualsiasi titolo di PLI, PRI, PSDI, PSI, PCI e DC … perché tutti questi partiti, in modo diverso, hanno contribuito a creare un sistema di potere basato su corruzione, familismo, clientelismo, corporativismo, lottizzazione …
Può essere una epurazione necessaria, ma allora un po’ di coerenza, per favore.
Amato entra in Parlamento nel 1983 insieme a Sergio Mattarella che da qualche anno militava nella DC siciliana impegnata a fare pulizia degli iscritti alla loggia P2 e delle persone ritenute contigue alla mafia che aveva in Ciancimino una forte sponda, secondo una diffusa valutazione.
Tutto ciò non impedì a Mattarella di impegnarsi nella DC, che aveva costruito il proprio sistema di potere anche grazie a contiguità con ambienti mafiosi.
Seguendo il ragionamento proposto da Travaglio anche Mattarella non sarebbe dovuto essere eletto presidente della repubblica.
Non mi pare un buon ragionamento.
La storia della DC, come quella del PSI, non può essere raccontata solo attraverso il codice penale o la condanna generalizzata.
La storia è sempre complessa e interpretarla con la lente deformante del giudizio moralistico non è cosa utile.
E se vogliamo usare questo metodo, allora va esteso a chiunque abbia fatto parte di quella storia … e non si salverebbe proprio nessuno.
La questione per me è altra.
Amato non è opportuno che diventi presidente della repubblica per le stesse ragioni per cui sarebbe stato preferibile che non lo divenisse Mattarella.
Bisogna finirla con le porte girevoli.
Non si può in eterno perpetuare questa logica di occupazione a vita delle Istituzioni.
Parlamentare, ministro, giudice costituzionale, presidente della repubblica, senatore a vita … funerale!
Anche NO, per favore.
A me sta stretto che un ministro o un parlamentare in carica diventi giudice costituzionale, figurarsi poi se dalla Corte si passa al Quirinale.
Il problema sta ancora una volta nei limiti della nostra Costituzione; limiti che potrebbero essere superati con il semplice buon senso, ma purtroppo il buon senso è merce rarissima.
Pensate all’art. 137 della Costituzione che al primo comma recita: “Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, e le garanzie d’indipendenza dei giudici della Corte”.
Una scatola vuota.
Che significa che una legge deve stabilire le “garanzie d’indipendenza” che i giudici costituzionali devono assicurare?
Può essere considerato indipendente un giudice che è stato ministro o presidente del consiglio?
La norma costituzionale non indica alcun criterio.
Che significa affidare a una legge condizioni, forme e termini per accedere al giudizio della Corte senza porre alcun paletto?
Sono queste scatole vuote, come l’art. 49, che hanno contribuito a creare le premesse per quel processo di degrado della politica di cui siamo spettatori dal 1948.
E non va sottaciuto che la Repubblica ha ereditato quel modello di “Partito Stato” introdotto dal fascismo, limitandosi a trasformare il singolare in plurale, dando vita allo “Stato dei Partiti”, come lo stesso Amato affermò.
Di ciò dovremmo essere consapevoli e allora se si sceglierà per il Quirinale una persona esterna alla solita logica autoreferenziale e interna alle logiche di potere … cominceremo a favorire una svolta.
Ma, tranquilli, non succederà.

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