Lo smemorato Zingaretti su quel fatale 2016

Massimo Villone Edizione del 20.03.2019 Pubblicato 19.3.2019, 23:5 Aggiornat 20.3.2019, 11:23
Riforma Renzi-Boschi. Preoccupa la visione retrò del nuovo segretario. Soprattutto perché è in campo la nuova questione del regionalismo differenziato che può a sua volta cambiare la faccia del paese
Siamo al cambiare tutto per non cambiare nulla? Si vedrà. Un avvio, a parte le formule roboanti, piuttosto grigio e insapore quello di Zingaretti. Ma una frase un sapore netto e sgradevole lo aveva, e ci ha colpito negativamente. Quella per cui se lo Stato non funziona, ciò è dovuto anche al no al referendum sulla riforma Renzi-Boschi.

È un’offesa a tutti i gufi e rosiconi d’Italia, che vogliamo addebitare alla convinzione che fosse utile lisciare le penne a chi in quella fase le buscò sonoramente dal popolo sovrano, e forse avrebbe dovuto allora essere fustigato sulla pubblica piazza. Oggi riceve invece parole consolatrici dal nuovo segretario.

Può darsi che nella memoria di Zingaretti gli eventi di quel fatale 2016 non siano scolpiti con chiarezza. Non ricorda l’arroganza infinita del duo che generò la riforma. Non ricorda che si voleva ridurre la rappresentatività del parlamento cancellando il senato elettivo, e riportando la camera a una docile obbedienza verso il capo attraverso una pessima elegge elettorale come l’Italicum. Non ricorda la indisponibilità ad accogliere qualsiasi critica, anche ad adiuvandum. Né ricorda, infine, che fu lo stesso Renzi a cercare il referendum, per volgerlo a voto plebiscitario su sé stesso.

Bene facemmo, noi gufi e rosiconi, ad opporci. Ne fummo e ne siamo fieri. Ancor più perché i fatti ci danno ragione.

I sostenitori della Renzi-Boschi erano e sono gli stessi che per anni hanno magnificato sistemi quali il britannico, il francese, o lo spagnolo. Di volta in volta per il totem delle maggioranze certe subito dopo il voto, del monismo del potere in capo al governo, della riduzione delle assemblee elettive all’osservanza dei voleri di un capo, della semplificazione della eccessiva frammentazione partitica. Ma la storia è una severa maestra. E ora basta leggere le cronache di paesi un tempo indicati come campioni di stabilità e governabilità per vedere quanto fragili siano gli argini artificiali frapposti, siano essi doppi turni, soglie di sbarramento, collegi uninominali maggioritari, premi di maggioranza. Avevamo ragione, noi critici della Renzi-Boschi, ad affermare che una visione moderna nel complicato mondo di oggi mette al centro dell’architettura istituzionale la rappresentatività, la partecipazione democratica e il recupero della politica piuttosto che la governabilità ad ogni costo.

Ci preoccupa dunque la visione retrò del nuovo segretario. Soprattutto perché è in campo una nuova questione che può a sua volta cambiare la faccia del paese, tra l’altro con una (illegittima) revisione occulta della Costituzione al di fuori dell’art. 138.

Si tratta, ovviamente, del regionalismo differenziato, al momento riaffondato nel segreto e nei silenzi, ma probabilmente pronto a riemergere in momenti più favorevoli. Allo stato, la protesta non tanto di forze politiche, ma di studiosi, intellettuali, di organizzazioni sindacali della scuola e delle professioni mediche, di pezzi di società civile, hanno fermato una spinta che per un momento era apparsa inarrestabile. Ma sappiamo che il Pd soffre di un malessere da peccato originale: ha aperto la prima porta con la riforma costituzionale del titolo V nel 2001, e la seconda con il pre-accordo tra Bressa sottosegretario Pd, e tre regioni richiedenti, che con Lombardia e Veneto vedono in prima linea l’Emilia-Romagna, centrale nell’architettura territoriale Pd.

Cosa farà il Pd se si arriverà al voto? Consentirà al metodo delle trattative private e segrete tra regione e ministro? Punterà ad azzerare e riaprire il confronto con tutte le regioni? Ritroverà, nel caso, le vie dell’eguaglianza e di uno stato centrale che ha tuttora ragione di esistere? Chiederà la piena emendabilità? Lascerà passare le clausole di privilegio fiscale tuttora previste? Darà i propri voti per raggiungere la maggioranza assoluta dei componenti richiesta per l’approvazione? Su questo, piuttosto che su un sequel dell’antico referendum, è oggi urgente riaprire il capitolo delle riforme.

Sul regionalismo differenziato Zingaretti ha fin qui rilasciato esternazioni poco significative. Se vuole presentarsi come il segretario differenziato che ha bisogno di essere, deve fare di più. Ad ogni buon conto, gufi e rosiconi di tutto il paese, unitevi. Non si sa mai.

Ti potrebbe interessare anche...

2 Risposte

  1. MARIALUISA COLONNA ROMANO ha detto:

    Perché non chiedere un incontro con Zingaretti per un confronto aperto e senza pregiudizi per capire cosa intende fare della Costituzione eccetera?

    • ricostruirestatoepartiti ha detto:

      Secondo me Zingaretti ha già espresso il suo pensiero molto chiaramente: Affermare che che le cose vanno male perchè non sono state approvate le disastrose riforme volute da Renzi, che lui ha sostenuto e votato, significa solo tornare indietro, avvitarsi su se stessi e non cambaire nulla.